Ecco le prime aziende tessili trasparenti
Sono 20 imprese, tutte varesine, che hanno ottenuto il certificato ITF di tracciabilità. I loro prodotti tessili sono i primi “trasparenti”, che dichiarano cioè dove si sono svolte le varie fasi della lavorazione
Hanno ottenuto per prime un attestato che punta non solo al riconoscimento della qualità del loro lavoro, ma anche al futuro del settore, che sta nella trasparenza nei confronti dei consumatori.
Ed è quindi con un po’ di orgoglio e molta partecipazione che la stessa Giunta della Camera di Commercio ha festeggiato, oggi 7 maggio 2009, alle Ville Ponti i primi 20 imprenditori che hanno ricevuto il certificato di tracciabilità ITF.
«Diamo un riconoscimento alla lungimiranza delle vostre aziende tessili – ha detto, in apertura della breve cerimonia, il presidente della Camera di Commercio varesina Bruno Amoroso – Voi siete i primi a essere stati capaci di andare oltre, puntando sulla qualità produttiva». Perche questo è «Il certificato delle persone serie, quelle che non solo dicono di essere Made in Italy, ma che dicono cosa producono davvero in Italia. Il vostro è un esempio di perspicacia e capacità operativa».
I venti imprenditori – tra i quali ci sono nomi notissimi del tessile varesino, come l’ex presidente dell’unione industriali Marino Vago, e la storica “Giuseppe Bellora” di Fagnano Olona – Hanno ricevuto per primi il riconoscimento di tracciabilità dell’Italian Textile: che, va ricordato, è un certificato volontario, non obbligatorio per legge, che precisa dove sono state realizzate le quattro fasi fondamentali del prodotto, senza nascondersi dietro un "made in italy" generico, ma specificando cosa è stato realizzato in Italia e cosa proviene dall’estero. Un certificato nato nei laboratori del Centro Tessile Cotoniero di Busto Arsizio, e poi diventato marchio nazionale.
Ma che differenza c’è tra tracciabilità e made in Italy?
«Il “made in Italy” è una etichetta che tutto sommato tutti possono mettere, anche chi ha fatto solo una parte del lavoro in Italia – spiega Maria Grazia Cerini, direttore del Centrocot di Busto – Poi è una etichetta molto facile da mettere e copiare: si trovano tanti prodotti “made in Italy” anche nelle bancarelle cinesi dei mercati. Marchi che spesso non dicono il falso, perché si riferiscono a capi confezionati in Italia da ditte cinesi, anche se spesso irregolari. Il certificato di tracciabilità è un modo più trasparente di dire cosa davvero è avvenuto di quel prodotto e dove».
Per ora questi imprenditori “trasparenti” sono circa una settantina in tutta Italia: una vera e propria élite, dove la parte del leone è fatta naturalmente, dai varesini, che sono stati tra l’altro i primi in assoluto ad ottenerlo. «Ma non manca un nucleo di imprenditori perugini, soprattutto nel settore delle scarpe, che punta sulla territorialità della produzione e ha quindi creduto in questo certificato – spiega ancora Cerini – In Italia, comunque, siamo in pochi: perchè ancora poche aziende hanno ancora avuto il coraggio di mettersi a nudo. La speranza invece è che questo certificato si allarghi a macchia d’olio, garantendo sempre di più la trasparenza della produzione».
Per agevolare le aziende tessili varesine che volessero intraprendere questo percorso, la Camera di Commercio ha erogato contributi specifici affinchè chi ne faccia richiesta possa acquisire questo certificato e i suoi rinnovi gratuitamente. In modo che la nostra diventi presto una provincia trasparente e virtuosa, con tanto di “bollino blu”.
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