“Quei terribili giorni all’Aquila”

Francesca Uslenghi è medico rianimatore del 118 di Varese. Tra i primi a partire, vi è rimasta cinque giorni in condizioni difficili. I suoi drammatici ricordi a un mese dal sisma

Un mese fa, la notte tra il cinque e il sei aprile, un terribile terremoto scuoteva la terra d’Abruzzo. L’Aquila e la sua provincia si svegliarono in preda ad un incubo. In totale, 298 i morti, travolti dalle macerie.
Tra i primi a partire, quel lunedì 6 aprile, c’era il medico rianimatore del 118 di Varese Francesca Uslenghi: "Arrivammo là in serata e subito ci coinvolsero nell’allestimento del campo di Monticchio dove creammo il Presidio medico avanzato di secondo livello  – ricorda Francesca Uslenghi – Quella notte non riuscimmo a dormire, sia per la tensione, sia per il lavoro sia per il grande freddo. In effetti, nei cinque giorni che sono rimasta in Abruzzo credo di essere riuscita a riposarmi solo sei o sette ore".

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E’ stata anche all’Aquila?
"Il giorno dopo, io con i colleghi varesini Claudio Costabile e Daniele Destro, fummo chiamati all’Aquila. Dovevamo occuparci, imsieme ai colleghi dell’Agenzia lombarda dell’urgenza, del Presidio medico avanzato di primo livello allestito alla stazione. Qui erano stati disposti tre convogli destinati ad anziani e disabili perchè ritenuti più caldi e confortevoli. Siamo rimasti lì, in questo campo per 980 persone, con i soli bagni della stazione dove lavarci, almeno i denti. Eravamo in prima fila: a noi arrivavano tutti i casi ambulatoriali, qualsiasi malore".

Quale sensazione ha provato?
"Il lavoro era tanto e le condizioni molto difficili: di giorno il caldo era soffocante mentre la notte calava il gelo. Fortunatamente non ha mai piovuto mentre ero lì, ma vi assicuro che vivere in tenda senza riscaldamento era molto difficile. Inoltre non c’erano docce e i servizi igienici scarsi"

Avete assistito anche alle operazioni di ricerca dei dispersi?
"No. Quello era compito dei vigili del fuoco supportati dalle ambulanze. Noi operavamo come medici di base, per le prime necessità"

A distanza di un mese quali sensazioni ricorda?
" Mi ha colpito la grande dignità di questa popolazione, così sofferente ma nel contempo così solidale e grata per quello che stavamo facendo tutti noi. Quando sono tornata a casa, però, ci ho messo almeno una settimana per riprendermi. Giravo in città e mi sembrava strano che tutto fosse al proprio posto, che non ci fossero crepe nelle case, che la gente vivesse normalmente. Dopo aver guardato gli occhi terrorizzati di tanta gente, l’angoscia ti rimane addosso"

E si che lei dovrebbe essere "preparata" ad affrontare le emergenze…
"Non sei mai preparato alla sofferenza. Puoi arrivare nel luogo dell’incidente e concentrarti sul tuo lavoro perchè devi salvare qualcuno. Poi, però, finita l’emergenza, qui volti, quel dolore riemerge e si fa fatica ad accettare. Nel nostro servizio abbiamo un supporto psicologico per affrontare questo tipo di emozioni. E’ molto importante. Quest’esprienza in Abruzzo è stata toccante ma, nello stesso tempo, molto positiva sia per le persone che ho incontrato sia per la collborazione e l’ottimo rapporto che si è subito creato tra medici, infermieri e tecnici dell’Areu lombrda. Persone che arrivavano da sedi diverse ma che hanno lavorato con grande sinergia"

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Pubblicato il 05 Maggio 2009
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