A Jerago si alza la voce delle piccole imprese
Più di trecento imprenditori all'assemblea convocata da loro stessi. Sul palco, a provare a rispondere alle loro aspettative, istituzioni e associazioni di categoria, coordinate dal giornalista Dario di Vico
Chiedono solo lavoro e rispetto. Si incazzano quando vedono i grandi – quei grandi che non pagano le loro forniture – sostenuti dai governi. Sono silenziosi, stanno nelle loro aziende e cercano di tirare avanti, con sempre maggiore fatica, ogni giorno.
Ma ieri sera, 15 giugno 2009, i piccoli imprenditori hanno fatto un’eccezione: si sono presentati in 300 all’auditorium di Jerago. Non con l’idea di ascoltare la ricetta per uscire dalla loro crisi: ma per dire a chi c’era – e non era un palco da poco, nel piccolo paese del gallaratese – che i loro problemi ci sono tutti, che la crisi non è finita, che loro hanno aziende sane ma faticano a vivere perchè c’è gente importante che non li paga e istituti importanti che non credono nelle loro possibilità.
Davanti a quel tavolo rosso, firmato “Comune di Ierago con Orago” che ha sostenuto l’iniziativa di alcuni imprenditori, c’erano, da sinistra a destra: Daniele Parolo, presidente di CNA Varese, Alessandro Fagioli, assessore al lavoro della Provincia, Massimo Garavaglia, senatore della Lega, Dario di Vico, giornalista economico del Corriere della Sera, Raffaele Cattaneo, assessore ai trasporti della Regione Lombardia, Franco Macchi, direttore della Compagnia delle Opere Altomilanese, Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato Varese e Franco Colombo presidente di Api.
E davanti a loro c’era tutta gente giustamente arrabbiata perchè il lavoro ce l’hanno ma non hanno i liquidi per proseguirlo, mentre devono litigare con enti pubblici o Fiat che pagano a sei mesi. Mentre invece l’erario quei sei mesi lì non li aspetta, anzi: le tasse le chiede in anticipo e persino su una presunzione di fatturato – quella degli studi di settore – che è perlomeno irrealistica.
Tutte persone che magari non hanno parlato, ma certamente hanno sottolineato ogni parola di chi parlava dal palco, contrariamente a quanto succede nei convegni sulla crisi “ufficiali”: e alle affermazioni che rappresentavano la loro realtà non hanno risparmiato sbuffi, risate, applausi, brusii di perplessità.
Forse poco come reazione: comunque molto meglio che stare chiusi nel proprio capannone. «Mi sembra che siamo troppo silenti, di solito, perchè in realtà siamo molto più in difficoltà di quello che dicono i giornali – spiega una degli imprenditori varesini che hanno aderito a Impresecheresistono, il movimento di piccole imprese che nasce dal Piemonte e che vedrà tra poco la prima manifestazione torinese – Ora chiediamo a chi governa questo territorio cosa ha in mente per sostenerlo. La Cina è diventata quella che è perchè lo Stato ha sostenuto la crescita delle imprese. Ora noi vogliamo sapere cosa volete fare di noi».
E non basta sciorinare tutto ciò che è stato già messo in campo – tra l’altro anticipando il Governo centrale – dalla regione Lombardia per acquietare gli animi: per Raffaele Cattaneo, in rappresentanza della Regione, e per Massimo Garavaglia, senatore leghista, la serata è stata dura, e bisogna ammettere che l’hanno affrontata con coraggio. E Alessandro Fagioli, l’unico altro politico coinvolto, riesce a smarcarsi solo mettendo avanti la sua condizione di piccolo imprenditore.
Del resto di tutti gli interventi detti, i piccoli imprenditori hanno visto poco o niente. L’esempio più volte citato è Confiducia, ma si parla anche di alcuni sgravi promessi e mai messi in pratica. E gli imprenditori poco ascoltano nè apprezzano anche l’ammonimento di Franco Macchi, del Cdo Altomilanese, che sottolinea come «L’economia, come la crisi, non è neutrale, dipende dalla persona».
Applausi e approvazione se la guadagnano invece gli altri rappresentanti degli imprenditori: Giorgio Merletti quando rivela che «Stando alle nostre indagini, saranno 2000 le aziende che non ce la faranno in provincia, per un totale di circa 5000 addetti» riceve dei plateali “ha ragione”. Franco Colombo, quando dice: «capisco che voi diciate che l’Italia va meglio degli altri, ed è anche vero. Ma è come se un moribondo guardasse un morto e dicesse che sta meglio» si guadagna applausi e risate. E applausi li riceve anche Daniele Parolo, quando chiude il suo discorso dicendo: «Il problema, qui, è che il lavoro per le aziende deve essere riportato a casa. Qui la gente merita più rispetto».
Certo, in una serata non si è risolto niente. Certo, applausi o brusii non sono soluzioni e nemmeno un vero dialogo. Ma con la serata di ieri per una volta imprese e istituzioni si sono perlomeno confrontate col disagio, quello vero, delle aziende varesine.
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