Busto vinta dal Nordest che avanza

Il calcio bustocco, dolorosamente sconfitto, come metafora della vita e punta di un iceberg politico ed economico

Busto Cenerentola, Busto bastonata. È una città ferita nell’orgoglio e richiusa sul suo provincialismo quella che piange il sogno sfumato della serie B, che da queste parti latita dal 1966 – e chissà ancora per quanto. Ad essere molto, ma molto ottimisti, un anno. Ad essere realisti, qualcuno in più. La chiave del futuro è nelle mani del nuovo patron Antonio Tesoro. Dopo l’esperienza da trip allucinogeno vissuta con la gestione Zoppo, sulle montagne russe dell’esaltazione e del baratro finanziario, fra sogni/incubi cementizi in forma di stadio, pedate vincenti e scioperi bianchi, la nuova proprietà sembra quasi un porto tranquillo in cui riparare e calafatare una barca biancoblu tutta buchi, già affondata e ripescata per le sartie.
Quanto al simbolo del tigrotto, be’, di felino in questa città c’è solo la voglia di dormire. Ed è quello che il "sistema Busto" sembra fare meglio: con una ideale situazione bloccata a favorirlo. Perchè il calcio è solo la punta di un iceberg politico-economico. Impossibile ogni vero ricambio ai vertici, una Busto in evidente stagnazione, denunciata dagli stessi protagonisti dei suoi anni più dinamici, si vede conquistare pezzo a pezzo da quella parte del Paese che più di tutte è riuscita a imporre i suoi ritmi, a fare di questo tempo il suo tempo: il Nordest. Questa entità indefinibile, centrata in qualche misura tra Veneto e Lombardia orientale (vi aggiungeremo per ragioni storiche la Bergamasca, per secoli dominio di Venezia), ma che ingloba anche gran parte dell’Emilia Romagna, pur patendo la crisi come chiunque è da anni elemento cardine, nello sport come negli affari. Ora arriva a sopraffare e ingoiare parte di ciò che era una volta "il triangolo industriale" e oggi è quello della cassa integrazione. Busto, un tempo, ne era un perno orgoglioso. Oggi che tanto la si cita come capitale di qua e di là o città-leader, oggi che ci si loda e imbroda, l’influenza della città non passa i confini della Valle Olona. Politicamente Gallarate guarda altrove, e dall’alto in basso; Legnano appartiene letteralmente a un altro pianeta, quello milanese che ha già "scippato" al territorio Malpensa, fondata dagli stessi industriali bustocchi in tempi più lungimiranti. Quando Busto Arsizio non aveva ancora perso i pezzi in favore di questo o quello.
I segni della conquista sono molteplici. L’industria ad esempio, quel tessile del cui passato da queste parti si va (giustamente) fieri, e che declina tristemente da decenni. Mentre si grida ai cinesi, ai rumeni, ai turchi, a rilevare e poi chiudere l’ex Ibici di Busto Arsizio, fino a vent’anni fa una realtà da oltre trecento dipendenti, è una famiglia di imprenditori mantovani. Sempre Nordest, la terra di Emma Marcegaglia. L’altro stabilimento della fu Ibici… è in Romagna, a Cotignola. Tiene duro per ora: anche lì la crisi si sente. Qui a Busto Arsizio, nella zona industriale dove in questi mesi i runner in libera uscita hanno superato di numero i camion in arrivo e partenza, a fine luglio si dovrebbe chiudere, almeno queste sono le ultime notizie giunteci.
Purtroppo si prendono schiaffoni anche nel calcio: sono i più lievi, ma anche quelli che fanno più male. Sul campo di gioco le squadre venute dal Veneto ad umiliarci in casa: il Verona l’anno scorso ai playout, ai playoff giusto ieri il Padova. Tutte le rivali della Pro Patria erano squadre del Nordest, incluse Ravenna, Reggiana, Cesena. Il calcio è metafora della vita, emblematico. Come nella vita, non sempre vincono i migliori, non sempre trionfa chi aveva tanto lavorato per un obiettivo, ma chi si trova nelle condizioni giuste al momento giusto per coglierlo. Dietro il gioco della palla rotonda con ventidue ragazzotti in shorts e maglietta c’è tutto un mondo. Politica, economia. Il panem che necessariamente accompagna i circenses calcistici. Si era detto che si sarebbe fatto di tutto per mantenere in città quanto più possibile della società, e sotto Zoppo il rischio di vedere partire la società era stato ventilato, sia pure come uno dei tanti avvertimenti proferiti dall’avvocato milanese-casertano prima di ritrovarsi i ferri ai polsi. La "cordata" di cui si è parlato instancabilmente per mesi, in un clima di segretezza ossessiva degno del Cremlino dei bei tempi, si è rivelata alla fine un paravento per coprire la vera identità dei nuovi acquirenti. Naturalmente, non bustocchi: da mesi si parlava di Bergamo e dintorni. Da dove "sbuca", fortunatamente per le sorti biancoblu, la famiglia Tesoro, che pure è di origini pugliesi. Sempre nella Bergamasca ha sede quella Tecnocovering che sta lavorando, per ora solo con qualche abbattimento, alla ricostruzione dell’area delle ferrovie Nord, da ormai quasi vent’anni interrate. Una vera cittadella commerciale, con tanto di multisala e ampi parcheggi sotterranei, che dovrebbe ridisegnare il volto della città. Un po’ come esempi visti altrove in provincia, sempre targati Tecnocovering: solo su una scala più ampia e, si spera, redditizia per tutti: costruttore, Comune, utenti-acquirenti. Se non è una "conquista" sul piano urbanistico questa, con tanto di monumento ai conquistatori… Il vuoto attuale, del resto, è la geometrica dimostrazione delle carenze della politica bustocca.

…eppur si muove. Detto tutto ciò, infatti, la città non è dopotutto moribonda. Anzi, cresce la popolazione e Varese deve stare attenta a non farsi raggiungere. Le voci per farsi sentire ci sono: in Regione, in Provincia, a Strasburgo, a Roma c’è almeno un bustocco. Non possono impedire che una difesa allegra ci neghi la serie B, ma possono far sì che su altri campi riconquistiamo quella serie A che di diritto ci compete. Questa, dopotutto, è la vera partita.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Giugno 2009
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