“Per educare un bambino non basta una famiglia… ci vuole un villaggio”
Dieci candeline per il centro educativo diurno Il Canestro che accoglie bambini e ragazzi in difficoltà. La "scoperta" della fiducia reciproca fra genitori ed educatori, la sfida di "rimettere in pista" bimbi e ragazzi in situazioni delicate
Un lieto decennale cade in questo 2009: è quello del centro educativo diurno Il Canestro, gestito nelle sue due sedi di via Pozzi e di viale Stelvio dalla cooperativa sociale Il Villaggio in Città. Si tratta di case che ospitano durante il giorno bambini e ragazzi segnalati dai servizi sociali, a rischio per problematiche di vario tipo. Non è un servizio residenziale 24 ore su 24, quello svolto da Il Canestro, piuttosto un supporto quotidiano che affianca la famiglia d’origine, dunque con una modalità d’azione in parte differente da quella delle comunità che si occupano di minori allontanati dalle famiglie per violenze o carenze educative.
Incontriamo Enza Schillaci, la coordinatrice del servizio, presso la casa di viale Stelvio, aperta da quattro anni. Colore, colore, ancora colore, un disordine creativo pronto a rientrare più o meno disciplinatamente, ragazzi che scorrazzano di qua e di là, impegnati a giocare («il diritto al gioco qui si esercita al massimo livello: diritto al gioco, non al giocattolo» precisa Enza), oppure assorti mentre fanno i compiti.
«Questa esperienza nasce da una riflessione corale fra assistenti sociali, psicologi dell’età evolutiva, educatori, tutte persone che si occupano di minori nelle comunità» racconta. «Il punto debole su cui tutti concordavano era la difficoltà a trattare con la famiglia d’origine. Serviva una nuova frontiera, diciamo così, per la presa in carico dei minori con situazioni problematiche alle spalle».
«Riceviamo i ragazzi all’uscita da scuola, solo in qualche caso motivato andiamo a prenderli noi, di solito è un parente a portarceli». Fondamentale è infatti il dialogo diretto con la famiglia: «Accogliamo i minori solo se abbiamo almeno un alleato all’interno del suo nucleo familiare». È la politica della fiducia, un valore che va costruito con pazienza, verso il bambino e verso i parenti: una scoperta reciproca, dice Enza. Difficile capirsi, all’inizio. «Ai genitori non chiediamo nulla più che di sospendere il giudizio su di noi, sulle prime. Molti sono ancora terrorizzati che il figlio venga tolto loro, ma non è così. Sono persone che hanno magari esse stesse contattato i servizi sociali: ed è in collaborazione con questi che si valuta se la nostra proposta educativa possa avere una valenza in questi casi».
«Il nostro è un metodo contrattuale e consensuale» spiega Enza. «Tanti adulti purtroppo non sono abituati a confrontarsi e discutere di questioni educative; parliamo di persone in qualche modo “zavorrate” da pesi e fatiche, esistenziali o meramente economiche, per le quali una mera assistenza non è sufficiente. In ogni caso non è un affidamento "alla cieca" quello che ci viene fatto, il nostro confronto e contatto con i genitori è costante, a volte anche per le cose più minute». La dimensione è familiare, o qualcosa di più. «In Africa c’è un proverbio che recita così: per educare un bambino non basta una famiglia, ci vuole un villaggio». Da qui il nome della cooperativa: Il Villaggio in Città». Intorno ai minori una rete di supporto, ma anche di stimolo: accanto a Il Canestro ci sono «la scuola, gli assistenti sociali, l’oratorio, eventualmente gli specialisti che li seguono, noi non facciamo terapia. E non ci limitiamo alle parole, ma facciamo le cose di tutti i giorni, a partire dal cucinare…»
Centro tutoring educativo familiare è la definizione de Il Canestro. Un servizio professionale, sostenuto dalla retta che il Comune paga alla cooperativa per l’inserimento dei minori, sufficiente a sostenere le spese d’affitto, servizi e d’altro tipo, più gli stipendi degli educatori. A Palazzo Gilardoni con l’ultimo Piano di Zona si è deciso però di tagliare sulle spese sociali per i minori. «Considerando l’incremento di nuove forme di fragilità delle famiglie, anche a causa della crisi economica in atto, non ci pare si vada nella direzione di tutela dei bisogni rilevati».
Al momento le due sedi seguono circa 35 minori, «cerchiamo di mantenere un rapporto di un educatore ogni cinque ragazzi. Qui loro arrivano dopo scuola, si pranza insieme, aspettandosi l’un l’altro; si fanno attività, si va magari insieme al lago, perchè no. Facciamo anche un breve periodo di vacanza al mare». Tecnicamente al Canestro si trovano solo ragazzi fino ai 13-14, ma c’è anche qualcuno fin sui 16-17 anni: se il ragazzo e la famiglia lo desiderano, si può valutare un progetto individuale anche per gli adolescenti. Tempi diversi per situazioni diverse: c’è chi si è fatto “accompagnare” solo a superare l’esame di terza media. E chi da nove anni frequenta il centro. Situazioni accomunate in una quotidianità scandita da orari e gesti precisi: piccole regole di buonsenso.
I minori accolti a Il Canestro, spiega Enza, hanno in comune problemi di autostima, insicurezza, demotivazione. Mali che se non colti per tempo possono devastare una vita, e non necessariamente sorgono da situazioni di disagio evidente, piuttosto da contesti fragili, di poca attenzione, di solitudine. «Se la pianticella soffre e fatica a crescere, noi, diciamo, offriamo il bastoncino di sostegno» dice Enza con un paragone botanico. «Il massimo desiderio di questi bambini alla fine è l’accettazione, la normalità». Non mancano quelli di origine straniera, «ma qui apparteniamo tutti a una cultura condivisa che non si impone dall’alto, si costruisce insieme giorno dopo giorno».
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