Silenzio e dolore in ricordo di “Basu”
Al torneo estivo sul campo della parrocchia del centro in campo è scesa la squadra degli amici di Andrea Andriani, il diciassettenne morto nell'incidente di domenica notte. Lutto al braccio e lacrime per ricordare chi non c'è più
I giocatori entrano ed escono, ma la sensazione che non sia una serata di torneo qualsiasi si respira. In campo devono scendere gli amici di Andrea Andriani, la giovanissima vittima
dell’incidente di Gallarate che se lo è portato via nella notte tra domenica 21 e lunedì 22 giugno. I ragazzi fanno la spola tra il campetto e la piazza, qualcuno forse un po’ a disagio nel rientrare in un oratorio, dove non metteva piede da tempo. Le ragazze fumano e aspettano ai bordi del rettangolo di gioco, poco coinvolte dal gioco da uomini. I tornei di calcio estivi, messi su dagli oratori, diventano un’occasione di ritrovo per tanti adolescenti, finalmente liberi dalla scuola. I calciatori si sfidano sul campo, ma finita la partita si chiamano tra loro ed escono per le strade: un’ora di calcio, poi una birra, un paio d’ore a camminare qua e là nel centro, a incontrare amici. Sulle maglie molti hanno i soprannomi – "Popo", "Zio", "Mazzu", "Puti" -, perchè così si conoscono fuori dal campo, in quella grande comunità – quasi incomprensibile agli occhi degli adulti – che nasce a scuola, sui social network, in piazza.

Sarebbe sceso in campo anche lui, ieri sera, con la maglietta con il suo nome sulle spalle, "Basu". Lui non c’era, non c’è più, ma intorno al campetto del centro della gioventù c’erano tanti suoi amici, stretti nel dolore gli uni agli altri. La squadra di Andrea ha la maglia blaugrana in stile Barcellona; sul dorso i soprannomi, sul braccio la fascia del lutto nero. Durante il minuto di silenzio (osservato anche la sera di lunedì, nelle altre partite in programma) si stringevano tra loro i giocatori delle due squadre, che vivono lo stesso ambiente, hanno gli stessi amici. Qualche ragazza in lacrime fatica a unirsi al gruppo, una amica la trascina fin sul rettangolo verde del campetto. Il capitano della squadra di Basu ha lo sguardo duro perso nel vuoto; accanto le lacrime rigano il volto di un ragazzino magro con il cappellino.
E anche dopo che l’arbitro ha fischiato, rimane per una decina di minuti un silenzio assurdo, rotto solo dai pochi richiami tra compagni di squadra. Poi arrivano i giocatori delle altre squadre e i loro amici, che vengono da fuori e non sanno; da una sala escono i partecipanti ad una riunione. Il silenzio si rompe, le voci sembrano ricordare che la vita riprende, nonostante tutto. Resta il dolore sui volti e negli occhi dei ragazzi, che si stringono tra loro. Non sono i primi a vivere quel dolore, ma per molti forse è la prima volta. In gruppo si fanno forza, stare in un gruppo vuol dire non essere soli.
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