Un istinto più forte della morte
La madre del piccolo Yuan Crispino non ha esitato a tuffarsi nelle acque del canale per salvare il figlio. Un quieto angolo di campagna, stretto tra il cemento, il ferro e l'asfalto dell'hinterland, sconvolto da una tragedia improvvisa
La luce dorata di un tramonto di giugno accarezza un angolo di campagna che pare incompatibile con i palazzoni a poche centinaia di metri di distanza Si chiama hinterland, si legge Grande Milano. Siamo tra Pogliano Milanese e Nerviano, a ridosso della linea ferroviaria del Sempione su cui sfrecciano treni passeggeri e sferragliano merci. Ma l’attenzione è tutta concentrata su due mucchietti inerti, coperti da teli verdi. Uno più piccolo, uno più grosso, ma non di molto. È quanto resta di due vite, sì è no quarant’anni in due. Una mamma e il suo bambino più piccolo, che non aveva ancora otto anni.
Come spesso accade, quando lui è caduto, lei l’ha seguito, in un amore istintivo più forte anche della morte, anche del resto della famiglia, che arriverà dopo a cercarli. Sapevano benissimo dove avrebbero potuto trovarli: alla grata che chiude il canale, una derivazione del Villoresi. Piangono, sconvolti: un’anima pia cerca di confortarli come può, soprattutto i ragazzini. La famiglia Ren vive a Nerviano, vicino a quel punto del canale, in frazione Cantone, in cui era scivolato il piccolo Yuan Crispino, un nome cattolico per rimarcare in modo benaugurante l’approdo ormai remoto al paese d’accoglienza. Hanno un negozio di abbigliamento a Gravellona Toce. È quanto si apprende a tozzi e bocconi: il telefono del capitano Necci dei carabinieri di Rho è rovente.
Intorno si muovono i suoi uomini, i pompieri giunti da Varese e da Rho, la polizia locale di Pogliano. Poche centinaia di metri più su, nel punto in cui i due sono caduti in acqua, è già territorio di un’altra compagnia dei carabinieri: quella di Legnano. Di un’altra polizia locale: quella di Nerviano. Confini attraversati dalla tragedia. Eppure la campagna è la stessa, l’acqua è la stessa, spumeggia nella roggia e sembra la cosa più limpida, pura e incapace di male di questa Terra. «Da ragazzini ci facevamo il bagno qui» dice uno dei pochi "indigeni" rimasti. Gli annegamenti non sono così rari, purtroppo, da queste parti: qui non era mai successo, ma sul Villoresi quasi ogni anno qualcuno ci rimette la vita, in un modo o nell’altro, ci fa sapere un militare.
Era un pomeriggio bollente ma tranquillo, tanta gente per i viottoli di campagna a correre o pedalare in compagnia o da soli, poi è stato un accorrere generale dopo il fattaccio. Ancora più di un’ora dopo si trova gente pronta a dare indicazioni: «sotto il ponticello, poi a destra sulla sterrata, in fondo, dove c’è l’ambulanza». Ma anche quella, come l’elicottero posato nel grano maturo di un’estate anticipata, resta immota e ormai inutile. I soccorritori hanno tentato in tutti i modi, dando fondo alle loro conoscenze, di rianimare madre e figlio, ma invano. Mezzo metro d’acqua e una forte corrente hanno spezzato una famiglia. A commento del silenzio della morte, i suoni della vita che continua.
Un refolo di vento scopre per un attimo le salme. Sembrano addormentati. Lei, un casco di capelli neri, lui, capelli cortissimi, un visetto da piccolo monaco buddista. Mani pietose li ricoprono alla vista. Qualcuno si fa il segno della croce.
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