Il prete quassù passa ogni quindici giorni. E noi resistiamo
La vita dei venti abitanti della piccola frazione dove non esistono negozi e ora nemmeno più l'unico bar-ristorante
Non c’è più un bar, un’edicola, un negozio di alimentari. Niente dove comprarsi qualcosa da mangiare o una rivista per far passare il tempo, per bere un caffè in compagnia.
Da quando ha chiuso il Taboga l’ultimo bar ristorante, Boarezzo – minuscola frazione del comune di Valganna, abbarbicata sui fianchi del monte Piambello – vive in un suggestivo, per quanto scomodo, isolamento. Per arrivare nella "civiltà del commercio" ci sono tre chilometri di una strada stretta, tutta curve, immersa in una natura selvaggia e rigogliosa. Tre chilometri che sembrano un viaggio nel tempo.
Come vivono i venti abitanti rimasti fedeli a questo borgo di case in pietra e piccoli orti, di muri dipinti e gerani alle finestre, dove gli unici rumori che si sentono solo quelli della natura, gli uccelli che cantano e l’acqua che scorre nelle fontane? «Benissimo – ci dice senza la minima esitazione Ada Chini, classe 1923 – Basta organizzarsi: la spesa la facciamo quando qualcuno ci porta giù in macchina a Ganna, per la carne c’è il congelatore, per la frutta e la verdura viene un piccolo fruttivendolo una volta la settimana e anche il medico passa di qua ogni sette giorni. Ma se abbiamo bisogno basta una telefonata e arriva subito». Anche il prete passa di qua una volta la settimana, ma solo d’estate: in inverno ogni 15 giorni.
Per la signora Ada e per sua sorella Virginia, 92 anni splendidamente portati (nella foto), la chiusura del Taboga non ha significato alcun cambiamento nelle abitudini di una vita quieta, fatta di rapporti semplici ma veri con gli altri residenti del borgo, e di giorni che scorrono lenti, segnati come un tempo dai ritmi delle stagioni: «Guardi, fino a qualche anno fa avevamo una trattoria che confinava proprio con la nostra casa: pensi che non siamo mai andate a berci nemmeno un caffè».
Le sorelle Chini sono la memoria vivente di questo borgo: nate e cresciute nella stessa casa dove abitano oggi, conoscono tutte le persone che sono vissute o passate a Boarezzo, e se chiedi loro quanti abitanti rimangono li contano nominandoli uno ad uno. Oggi sono rimasti in 19, più i due custodi colombiani della grande villa all’ingresso del paese. C’è anche una signora ucraina, che fa la badante, ma è qua da pochi mesi e ancora non fa parte dell’elenco ufficiale di queste "custodi" del borgo. L’ultima famiglia "di fuori" che ha scelto di vivere a Boarezzo lo ha fatto dieci anni fa.
Eppure un tempo Boarezzo era una comunità abbastanza numerosa: «Negli anni ’30/’40 eravamo 130, forse 150 – spiega ancora Ada, che ricorda tutto – e d’estate molti di più perché uscivano i villeggianti». La testimonianza di quel tempo glorioso, quando a Boarezzo si veniva a cercare il fresco da Milano, è ancora lì: il grande albergo Piambello, 70 stanze in stile Liberty che dagli anni Sessanta giace abbandonato nel suo lussuoso parco, in attesa di una nuova destinazione che lo salvi dalla rovina totale. «Anche pochi giorni fa sono venute delle persone a vederlo – dice la signora Ada, le cui finestre danno proprio sulla facciata ormai diroccata del retro dell’hotel – Chissà cosa ne faranno». Si dice una casa di riposo per anziani, ma sono voci che si susseguono da anni.
Anche di questo Ada e Virginia Chini, così come gli altri anziani abitanti del borgo, non si preoccupano, non è un problema che riesca ad intaccare la loro serenità: «Che vuole, ne abbiamo viste tante…».
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