Il Riesame dice ancora no alla scarcerazione di Zoppo
L'ex-patron della Pro Patria, che ha portato al fallimento la società, è in carcere dal 6 maggio con l'accusa di bancarotta fraudolenta
L’ex-presidente della Pro Patria Giuseppe Zoppo resta in carcere. E’ stata negativa, infatti, la sentenza d’appello del tribunale del riesame di Milano nei confronti della richiesta di scarcerazione inoltrata dal legale di Zoppo, Angelo Colucci il quale non commenta la decisione dei giudici. L’ex presidente, arrestato lo scorso 6 maggio, da allora non è ancora tornato a piede libero.
Su Zoppo grava l’accusa di bancarotta fraudolenta mossagli dalla Procura di Busto Arsizio a seguito delle accurate, minuziose indagini condotte dalla Guardia di Finanza sulla gestione della società biancoblù, un’avventura durata meno di un anno che ha fatto precipitare la società nel fallimento. Proprio una perquisizione dei finanzieri presso la sede societaria aveva fatto scoppiare clamorosamente il bubbone del rapporto con i giocatori in febbraio, quando ormai la gestione del presidente, che pure aveva in un primo tempo consentito di costruire una squadra-spettacolo grazie a un calciomercato accorto, arrancava verso l’inevitabile conclusione. Zoppo, mentre si profilavano nuove proprietà per la squadra aveva tenuto duro a denti stretti fin quando gli era stato possibile: ossia, fino a un passo dal fallimento. Un mese dopo sono scattate le manette ai polsi di uno dei protagonisti di un’annata fantastica sul piano sportivo, ma da cardiopalma per quan to riguarda la società.
Già in maggio una prima richiesta di scarcerazione del legale era andata a vuoto. Il legale di Zoppo ritiene insussistenti le ragioni per una detenzione così prolungata: già mesi fa sosteneva che non vi fossero nei fatti rischi di fuga, di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove tali da sostanziare una misura cautelare. Quanto all’ex presidente, che ha negato le accuse di false fatturazioni e distrazioni di fondi mossegli, davanti al gip aveva ritenuto opportuno fare ricorso al diritto di non rispondere, concesso dall’ordinamento giudiziario agli accusati a tutela della loro posizione.
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