La scorciatoia della repressione

Il senatore del Partito Democratico Paolo Rossi riprende le considerazione fatte da Don Ernesto Mandelli nella sua lettera e interviene sul dibattito che ne è scaturito






Che dire delle considerazioni di Don Ernesto Mandelli?
Facile per me condividerle e non solo ovviamente per la comune appartenenza religiosa. Le sue sono parole che vorrei definire ‘laiche’, che sprizzano amore (è un termine che si può ancora usare?), comprensione e tolleranza in un mondo in cui oggettivamente prevale l’interesse, l’egoismo, la logica atavica del più forte sul più debole in una società, tra l’altro, intrisa di una sorta di ‘cultura dell’apparenza’: non conti per quello che sei, per la tua storia, per la tua personale o collettiva ‘tradizione’, per la tua provenienza etnica, sociale o culturale conta solo l’intensità e le modalità di come appari, di come sembri.
Ma attenzione è necessario apparire dentro modelli rigidamente prestabiliti, dentro recinti e perimetri ben delineati. Chi è fuori è out. E uno diverso da te non appartiene e non apparterrà mai alla tua tribù; punto e a capo.

In un mondo così il diverso è un estraneo quando non è un nemico (un passaggio più veloce ed automatico di quanto non ci immaginiamo soprattutto in alcuni frangenti economico-politico-sociali), il diverso ci fa paura e conseguentemente dobbiamo difendere un nostro spazio in qualche modo invaso, il nostro ‘orto aggredito dalla mala pianta’. Si badi bene questo non è l’atteggiamento di chi vuole legittimamente preservare la propria storia e le propria tradizione (un arricchimento, questo fatto, per noi ma anche per gli ‘altri’) ma la ‘difesa armata’ di uomini a protezione della propria ‘torretta’, inaccessibile agli altri ma in verità inaccessibile anche a noi stessi per la nostra sterile ipocrisia e per i nostri evidenti limiti.
In questa occasione vorrei tralasciare le mille considerazioni che, in particolare sull’immigrazione, e sulla consequenziale politica di questo Governo si potrebbero fare.
Due sole osservazioni: la prima ‘trita e ritrita’, finanche, per qualcuno, banale ma assolutamente vera è quella legata alla nostra totale assenza di una memoria storica. Non ci piace ricordare i cartelli esposti negli anni 50’ e 60’ al di fuori dei negozi di tante città del civilissimo nord europa che vietavano l’ingresso agli italiani (terroni e padani tutti uniti nel razzismo subito), non ci piace ricordare i soprusi patiti , le violenze, lo sfruttamento, la discriminazione soprattutto nei confronti delle donne e dei bambini, le centinaia di morti per esempio nelle miniere dove, uomini sfruttati, lavoravano in condizioni animalesche. Tutto questo è sepolto, tutto questo è archeologia. In fondo non sono passati dei secoli, parliamo dell’altro ieri e di noi stessi. E la gente onesta e laboriosa (meridionali ma anche veneti e lombardi tanto per dire) che hanno attraversato all’inizio del secolo scorso l’oceano per un tozzo di pane, che per anni si sono sentiti dare dei mafiosi per colpa di una minoranza di connazionali delinquenti e scellerati ce la vogliamo forse dimenticare? La storia maestra di vita o una storia che non ci ha insegnato nulla? Mi rendo conto che oggi, soprattutto alle nostre latitudini, in un clima intriso da un’ infoiata propaganda xenofoba (nei confronti della quale, dopo una dormitina iniziale, anche la Chiesa reagisce) una ferma opposizione ad un razzismo che si nasconde dietro la difesa della propria identità, non paga in termini elettorali (come mi dice anche qualche compagno di partito). Forse però qualche battaglia ideale, di tanto in tanto, non sarebbe poi così male intraprendere.

Il secondo aspetto è forse più razionale. E’ dimostrato che, in ogni angolo del mondo, dove è più elevato il livello di integrazione politica, sociale e culturale le inevitabili e deprecabili conseguenze   delittuose e malavitose che ogni immigrazione fatta anche di gente disperata, porta, gioco-forza, con sé, vengono ridotte sensibilmente quando, addirittura, non scompaiono. Certo occorrono regole per contenere un fenomeno solo parzialmente controllabile ma le regole rigide da sole non bastano anzi non servono a nulla se non accompagnate da una seria, complessiva e razionale politica di integrazione. Viceversa rimane la scorciatoia della sola repressione, del rifiuto, ma anche l’irrazionalità provocata da un odio che acceca e che niente risolve. E’ la via della ‘chiusura a riccio, della presunta civiltà che respinge la presunta inciviltà, della barbarie, dell’intolleranza che sparge solo dolore, quella via che l’uomo, in un passato non così remoto, ha già negativamente percorso, con risultati agghiaccianti, ma che sembra aver colpevolmente dimenticato.

Vorrei ricordare, in conclusione, alcuni splendidi versi di un poeta armeno, Paruyr Sevak che mi hanno commosso e che, in qualche modo, sono dedicabili a tutti gli emigranti-lavoratori del mondo, del presente e del passato, bianchi, neri gialli o verdi: che siano: “ (….) dove siamo giunti, dove abbiamo vissuto/ abbiamo faticato per tutti:/abbiamo costruito ponti,/abbiamo innalzato archi…ovunque abbiamo lasciato una scintilla dei nostri occhi, reliquie delle nostre anime,/ briciole dei nostri cuori”.

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Pubblicato il 28 Agosto 2009
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