Bonomi: “Il capitalismo è crisi”
Il sociologo parla dei cambiamenti dei processi economici e delle figure di lavoratori che si sono susseguite nella nostra provincia dal Dopoguerra in poi
I varesotti sono passati da metalmezzadri a comartigiani: sembrano parolacce, sono invece le iperboliche definizioni del sociologo Aldo Bonomi sulle trasformazioni che i varesini hanno subito, nella forma del lavoro e del capitale, dal dopoguerra in poi.
Una trasformazione economica e demografica epocale, che la ricerca di Acli presentata questa mattina alle ville Ponti fotografa con una montagna di dati (raccolti e analizzati da Mario Banfi) e una miriade di interviste (raccolte e organizzate da Maria Carla Cebrelli e Roberto Morandi).
E che Aldo Bonomi, tra i relatori del convegno di presentazione, ha sintetizzato con queste due figure, simboli di due fasi diverse della società e dell’economia.
«I metalmezzadri sono i figli del boom economico, quelli che andavano a lavorare nella fabbrica metalmeccanica e quando tornavano a casa curavano i loro campi in mezzadria. Erano lavoratori ancora completamente immersi nella cultura contadina, malgrado fossero stati assorbiti dall’industria. E Borghi lo sapeva bene, visto che nella sua Ignis i picchi di assenteismo li registrava quand’era tempo di seminare o di raccogliere».
Una figura ibrida che non ha però evitato di espandersi e rendere la nostra provincia, come altre della fascia pedemontana, un campione di sviluppo produttivo: «Questi metalmezzadri sono gli stessi che poi hanno messo in piedi le loro fabbrichette, i loro laboratori artigiani, ancora con la stessa organizzazione contadina. Loro sono stati protagonisti della seconda fase dello sviluppo industriale, quella dei distretti costruiti attorno alle grandi aziende».
Ora però l’economia varesina è in un’altra fase, le terza dal dopoguerra: «E’ il momento del comartigiano, che si chiama così perché vive l’attività artigiana innanzitutto in un’ottica di competizione – non esiste più il fornitore a vita – e perché deve occuparsi anche di commercio, se vuole far andare da qualche parte i suoi prodotti».
Una figura che, per la sua necessità di relazionarsi con il mondo, può dare una mano a realizzare la “comunità operosa” che Bonomi sta ricercando nei suoi nuovi studi: una comunità che per necessità è destinata a integrare, non ha escludere e fa diventare valore non solo il mondo economico, ma anche la “comunità di cura”, quella che si occupa delle persone. Un piccolo mondo che potrebbe facilmente aiutare a far uscire la società dalla crisi: questa come tutte le altre a cui l’economia del capitale ci ha abituato. Perchè, secondo Bonomi, «Il capitalismo è crisi. Non si può parlare di “capitalismo e crisi” se a quella “e” non si mette l’accento».
Crisi di cui molti hanno memoria: «Quelli che possono pensare in una prospettiva che comprende gli ultimi 30 anni si ricordano bene almeno tre grandi crisi: la prima, quella che tutti definiscono “del petrolio” ma che io preferisco chiamare “del fordismo” cioè del modello economico basato sull’organizzazione delle grandi industrie, che ha lasciato dietro di sé la scomparsa del lavoratore operaio. Poi quella del 2001, quella chiamata della new economy, causata dall’improvvisa convinzione che tutto si basasse sulla nuova comunicazione, e che dopo gli eccessi ci ha lasciato comunque una vera rivoluzione comunicativa. E infine c’è questa, nata dalla finanziarizzazione della vita quotidiana. Nata con i mutui subprime che altro non erano se non un tentativo utopico di dare una casa a tutti attraverso il mercato invece che attraverso il welfare. Ora è scoppiata: e la soluzione per uscire non solo c’è già, ma riempie le agende dei governi e le pagine dei giornali. Si chiama green economy, l’economia attenta alle questioni ambientali»
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