Il tessile e la crisi: aziende “in fuga verso l’alto”
Riposizionamento di mercato, innovazione, conoscenza come strumento di scambio e crescita: questi gli strumenti del successo di chi riesce a passare il setaccio della crisi
Competizione globale e identità territoriale: questi i temi del convegno alla Liuc di stamane, convocato in collaborazione con l’Università Avogadro del Piemonte Orientale. Al centro l’industria tessile e la moda: non solo quella che sfila sulle passerelle fasciando i corpi più fotografati al mondo, ma tutta una filiera che parte dal basso. Contestualizzare e approfondire l’analisi con numeri e pareri ponderati era d’obbligo: ne esce un quadro da cui emerge come pochi siano gli "eletti" della crisi, e a volte sorprendenti gli strumenti del loro successo.
– Come eravamo
Pregevoli le introduzioni a cura del professor Giacomo Corna Pellegrini, docente dell’Università degli Studi di Milano, e di Monica Morazzoni della IULM di Milano. La prima più generale, sul boom postbellico del tessile visto dall’occhio di esperto geografo di Corna Pellegrini, la seconda “a lente d’ingrandimento” su Busto Arsizio, Legnano e Gallarate e sui primordi dell’industrializzazione. Un Ottocento in cui le grandi famiglie mercantili, spesso con titoli di nobiltà, hanno dato vita ai primi opifici nei vari centri, man mano specializzatisi: ecco la Legnano delle grandi fabbriche, la Busto dei laboratori familiari e delle fabbriche con annessa villa padronale, la Gallarate crocevia dei commerci, delle comunicazioni e della produzione. Poi, al declino di molte produzioni, è subentrata l’era del degrado prima, del recupero urbanistico poi – l’esempio principe è il maxi-intervento in corso in centro a Legnano sull’area ex Cantoni, “firmato” Renzo Piano… ed Esselunga.
– Imprese (e prezzi al consumatore) "in fuga verso l’alto"
Fin qui il passato. Il presente va affrontato: e a darne qualche numero significativo pensava Rodolfo Helg, direttore dell’istituto di economia presso la LIUC. Il settore tessile-abbigliamento e moda ha patito nell’ultimo trentennio «shock esogeni» da nuovi concorrenti e dall’apertura dei mercati. In particolare, deleterio è stato l’effetto della fine dell’accordo MultiFibre, che sino al 31 dicembre 2004 aveva in qualche modo protetto in settore maturo dal mercato selvaggio. Doveva essere un approdo graduale, deciso com’era fin dal 1995, invece alla fine è stato pressochè improvviso. Le produzioni cinesi hanno invaso l’Italia, che resta ciononostante il secondo esportatore al mondo nel settore, con il 6,8% di quota mercato globale. Esportazioni di cui cresce il valore unitario: merci sempre più di qualità, con le imprese che compiono una vera «fuga verso l’alto» per riposizionarsi su target di maggiore spessore. I prezzi al consumatore restano alti, benchè le imprortazioni cinesi li abbiano abbattuti a monte. Helg cita come causa la distribuzione: «intervenga l’autorità della concorrenza». Pia aspirazione, ahinoi, in un Paese che ha permesso ben altro, vedi la concentrazione nel settore dei media e della televisione.
– Esiste una ricetta del successo?
La relazione di Fernando Alberti, docente LIUC, analizza il momento corrente e le strategie aziendali. Il settore tessile in generale ha perso il 56% dei suoi dipendenti negli ultimi vent’anni del Novecento, e il 36% del fatturato nella prima metà di questo decennio, snocciola. Nel 2005 la redditività media era di -0,5%. «Domanda interna declinante, occupazione che scende, imprese che si concentrano e riposizionano: tutti indicatori di un settore “maturo”». Le statistiche dimostrano che in tempi di difficoltà prevale un atteggiamento difensivo e di conservazione: si attinge al patrimonio di esperienze e conoscenze pregresse. Ma chi ha successo, e lo dicono i fatti, è chi innova. Un’indagine qualitativa, associata ad uno studio quantitativo sul distretto di Como, ha fornito spunti utili. «Abbiamo cercato quanti riuscivano in modo consistente e regolare ad avere una redditività, segno di vantaggio competitivo su tutti gli altri». In tutto una quindicina di aziende. Dedotto chi aveva l’"aiutino" di qualche grande gruppo di cui era partner, tutti gli altri (fra cui si contavano anche due soggetti “nostrani” come Eurojersey di Caronno Pertusella e la Michele Solbiati di Lonate Pozzolo) avevano caratteristiche comuni. La loro azione mira all’innovazione di prodotto. Non è né la varietà della gamma di produzioni, né la vastità del portafoglio clienti a fare la differenza. Anzi, i “vincenti” tendono a ridurre la clientela, concentrandosi e risparmiando sulla complessità. Anche questa è fuga verso l’alto. In più c’è l’aspetto del prodotto, creato in proprio e brevettato oppure migliorato tramite processi di sviluppo incrementale. La tecnologia è un prerequisito ma da sola non basta, è un’altra scoperta dello studio citato da Alberti: è la conoscenza del mercato a fare la differenza. Partnership con clientela “alta”, strategia time-to-market, fondamentale nel settore moda dove ormai le collezioni si susseguono di mese in mese, condivisione delle conoscenze, e non loro difesa gelosa, come condizioni del successo. La chiave interpretativa, conclude Alberti, sembra quella di una «strategia di nicchia globale»: posizionarsi in ambiti ristretti, ma non troppo, e soprattutto presenti un po’ ovunque. In altre parole, sapersi rendere più che interessanti: indispensabili.
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