Premiati a Duemilalibri i vincitori del concorso Phoenix
Il primo premio per la sezione poesia ad Alfredo Guenzani, per la lirica Musica d’insieme. Secondo premio a Giulio del Balzo di Caprigliano e terzo premio a Lorenza Pozzi
Come consuetudine anche quest’anno la premiazione dei vincitori dell’edizione 2008/2009 del concorso di poesia, narrativa e musica Phoenix è stata ospitata nell’ambito di Duemilalibri, la settimana del libro del Comune di Gallarate. L’evento si è tenuto nel pomeriggio di lunedì 19 ottobre presso il Padiglione dei Libri a Palazzo Broletto.
Il concorso è organizzato e promosso dalla redazione di Pigreco, il giornale degli allievi dei Licei Classico e Scientifico di Gallarate, ed è dedicato alla memoria della prof.ssa Clara Pirani Cardosi, docente dei Licei gallaratesi deportata ed uccisa ad Auschwitz nell’agosto del 1944.
La giuria, composta da sette professori e sei studenti e presieduta dalla prof.ssa Maria Grazia Boracchi, per lunghi anni docente di Lettere al Liceo Classico gallaratese, ha assegnato il primo premio per la sezione poesia ad Alfredo Guenzani, per la lirica Musica d’insieme.
Secondo premio a Giulio del Balzo di Caprigliano e terzo premio a Lorenza Pozzi. Non sono stati assegnati premi per la sezione musica, mentre per la sezione narrativa ha avuto una segnalazione il racconto Voce di strega di Francesca Mastrogiacomi.
Soddisfazione da parte della Dirigente Scolastica, dott.sa Luisella Macchi, che ringraziando i promotori del concorso, il lavoro della giuria ed infine la libreria Carù ed i Lions di Gallarate per aver offerto i premi, si è detta «meravigliata da come i ragazzi riescano ad esprimere quello che hanno dentro di loro attraverso la forma della poesia». Per la prossima edizione del concorso c’è una novità, come ha ricordato Massimiliano Labanca, membro della giuria ed ex studente del Liceo scientifico, nonché ex direttore di Pigreco: alle sezioni di poesia e narrativa si aggiungerà una sezione dedicata alla fotografia.
I premi – in buoni per l’acquisto di libri e di dischi – sono stati offerti dal Lions Club Gallarate Host e dalla Libreria Carù di Gallarate.
La collaborazione tra i Licei gallaratesi e Duemilalibri avrà un altro momento importante nella mattinata di giovedì 22 ottobre, quando la scrittrice varesina Chiara Zocchi parlerà agli studenti del suo romanzo Olga. L’incontro, ospitato alle 10 nell’Aula Novarese presso la sede di Licei in Viale dei Tigli, è aperto a tutta la cittadinanza.
Di seguito i testi premiati, i testi segnalati e le foto della premiazione:
Sezione Poesia, Primo Premio
Musica d’insieme
A ognun la propria voce!
E uno, due, un due tre.
Brrrrrrr
Pio pio pio
Fshhhhhh
Sbleng sbleng sbleng
Go go go
Rotorototinx
Sbaloo boo
Yeah
Alfredo Guenzani
————————————–
Secondo Premio
Voce nella voce
Sgozza con la tua penna
Quel povero reietto
Che mi tiene schiava
Del tuo pensiero.
Indicami con i tuoi versi
La via di fuga
Dalla viscida gola
Di questo uomo.
Slegami con il tuo ingegno
Da quelle corde vocali
Che mi costringono a comporre
Le sue inutili parole.
Liberami, poeta,
perché con il tuo inchiostro
sarò voce
nella voce.
Giulio del Balzo di Caprigliano
————————————-
Terzo Premio
L’ultimo incendio
Afonia di dèi spenti
che le palme a se stessi ormai tendono.
Sguardi cadono lenti
dall’Olimpo di nuovo infuocato, ma
oggi è per sempre. L’uomo
che il Fato volle sordo alle parole
non sue, di fama ingordo
sopravvive, e i superi vede
spalancare la gola
senza capire. Intende la quercia
e piange, mentre vola
il bianco cigno dall’ala pesante.
Sciagurata stirpe,
il fuoco che il Cielo sorprende è tuo,
tutto ora t’appartiene.
Cassandra sola va ridendo, paga
che il Sole soffra le sue
pene di derisa e beffata maga.
Lorenza Pozzi
———————————————-
Segnalazione
Tutto era immobile
Era un luogo muto e inesistente
freddo, morto.
Scuro ma di un pallore sporco.
L’aria taceva,
ma gridava.
Gridava col rumore dei colpi di fucile,
trasudava disperazione.
La polvere grigiastra parlava,
e disegnava sagome di uomini
che si infrangevano nelle urla del vento.
Anche quella polvere si alzava
scura
come un velo, per ricoprire la tristezza della sua terra
cosparsa di morte.
Tutto era immobile,
ma tutto si muoveva.
Anche l’odore acre si diffondeva
ovunque.
Nel cielo nessuna nube,
eppure questo era del colore della fuliggine,
come un panno troppo sporco
come un lago sospeso
che rifletteva il mondo sotto di lui.
Tutto era immobile,
ma tutto si muoveva.
Anche i pochi alberi rimasti
lacrimavano foglie scure.
E solo tu, piccola anima smarrita
tenevi in mano un fiore
che, come te,
aveva perso il suo felice profumo.
Con gli occhi chiusi, piangevi
e intanto cantavi piano una canzone
per avere meno paura.
E davi a quella terra la sua voce.
Serena Marasi
————————————————-
Segnalazione
Eco organizzata dominante
Là c’è molta eco,
Quilt piuae nieconte
Egiunicnge enochitearo.
One’ unchta soiaela voroce
Easemlarpre voostocelta.
Alfredo Guenzani
Sezione Narrativa
———————————————
Segnalazione
Voce di strega
Stato Pontificio, 1322
Voce. Un tempo conoscevo il suono di questa parola. Conoscevo il suono della mia voce. Tanto tempo fa decisi di non parlare più, perché non sopportavo più le parole. Le parole possono ferire. Le parole, se sono troppe, si confondono tra di loro e non vengono ascoltate. Le parole possono essere fraintese, por-tando dolore. Le mie parole erano così, e io decisi di abbandonarle, per dedicarmi soltanto ad ascoltare. Per cercare di comprendere la forza della voce. Ma questa scelta mi è costata molto cara. A volte mi pento di questo mio mutismo, ma ho dimenticato come si fa ad emettere suoni. Non ci riesco più. Cosa mi sia successo, lo ricordo molto bene. E adesso, ve lo scrivo.
La mia famiglia mi abbandonò quando avevo solo dieci anni. Ero strana, svenivo in continuazione e quando mi riavevo pronunciavo parole strane, frasi sconnesse, urlavo. Il marito di mia madre un giorno non ne poté più. Che non mi amava, lo sapevo già da tempo, ma mia madre era incinta di un altro figlio, un maschio finalmente, e lui non voleva che crescesse sotto lo mia influenza negativa. Una mattina il mio patrigno mi tirò giù dal letto, mi ordinò di vestirmi in fretta. Poi mi prese per un braccio, mi trascinò per lo strada. Le mie gambe corte dovevano correre per sostenere il suo passo. "Signore, dove stiamo andando?" gli urlavo, ma lui non rispondeva. Corremmo, fino a quando non uscimmo dalla città e ci ritro-vammo in mezzo ai campi coltivati. Là, un uomo alla guida di una carrozza ci stava aspettando. Mi con-segnò a lui, poi si girò e scomparve. Non rividi mai più lo mia famiglia. Ero terrorizzata. Ma questo mi prese dolcemente in braccio, mi fece sedere all’interno della carrozza. lo non riuscivo a rilassarmi,avevo paura anche a sbattere le palpebre. Dopo un viaggio infinito, entrammo in un piccolo villaggio di contadi-ni e ci fermammo davanti a una casetta di legno a due piani. AI suo interno, una signora imponente mi diede il benvenuto e mi offrì una tazza di latte. Nel frattempo si era fatta sera, allora lei mi prese per ma-no, mi accompagnò al mio letto, in una camera che condividevo con altri quattro bambini. Da quel mo-mento, trascorsi lì la mia vita. Ero felice, nonostante le mie crisi, che venivano comprese e accettate. La mia nuova mamma mi prendeva sulle ginocchia e mi cullava, cantando, fino a quando non mi calmavo. Non mi ha mai condannato per questo. Ridevo e giocavo, cantavo con quella mia nuova famiglia. Sape-vo che ero lì per l’influenza di mia madre, che aveva convinto suo marito ad abbandonarmi in un posto felice.
Una mattina mi alzai presto. Era una bella giornata e non volevo sprecarla dormendo. Scesi dal mio let-to, mi misi le scarpe, scesi le scale per andare sul retro a svuotarmi la vescica. Mi stavo giusto prepa-rando a questa operazione, quando incominciai a non distinguere bene i contorni dell’erba sotto di me. Mi sentivo mancare, cadere … lo testa mi si svuotava come se volesse scomparire, allora cercai con la mano di appoggiarmi al muro, ma lo mancai e caddi a terra, sbattendo la testa contro le assi della casa.
Ero nel bosco, giocavo a nascondino con i miei nuovi fratelli. Per non farmi scoprire, mi addentrai tra il sottobosco, sempre più fitto, sempre più fitto e buio, e camminare diventava sempre più difficile ma io non dovevo assolutamente farmi trovare, per cui continuavo ad avanzare. Era buio pesto, peggio che in un incubo. "Ma questo lo è, è un sogno" pensai. “No – mi corressi – non sto sognando. Questo è tutto ve-ro. Non vedi? sta iniziando a bruciare tutto, tu senti il bruciore … non è certo un sogno!" E sapevo di do-ver andare avanti, nonostante le fiamme che mi scottavano e che mi bruciavano i capelli: e nonostante la fatica dovevo comunque correre, non riuscivo a camminare, né tanto meno a fermarmi. Inciampai, caddi. Mi voltai per vedere su cosa ero caduta … era un’enorme lumaca senza guscio. Per enorme, intendo come un cagnolino. Senza antenne né coda, né bava … era una lumaca sciolta dall’incendio.
Mi svegliai. Iniziavo a sentire il dolore alla testa… certo, quando ero inciampata sulla lumaca dovevo a-verla battuta contro un sasso… Mi misi a sedere in cerca della lumaca e la vidi, davanti a
me! Si era rimpicciolita, ma era senza dubbio la stessa. Veniva verso di me! Iniziai a urlare, terrorizzata. Gridai della lumaca e dell’incendio, della lumaca sciolta, dei miei fratelli che si erano persi nel bosco e che adesso non riuscivo a trovare; gridai fino a quando mia madre, lo mia enorme madre, non mi prese in braccio e mi riportò in casa. Ora, ricordo bene quello che infine ho capito fosse un sogno, ma niente di più. Tutto il resto, mi è stato raccontato. Non ricordo neanche che tutto il vicinato aveva sentito le mie grida, ed era venuto a vedere cosa stesse succedendo. Me ne accorsi in seguito, perché questa mia cri-si rimase sulle loro bocche per molto, molto tempo. Per un motivo ben preciso.
Una notte, sentii delle urla. Ingenua com’ero, mi alzai dal letto e decisi di andare a vedere. Non pensai neanche di avvertire qualcuno, di chiedere aiuto. In camicia da notte, scalza, uscii per lo strada dissesta-ta, in direzione delle grida. Era difficile procedere, ma non riuscivo a tornare indietro. Anzi, cominciai a correre e non riuscivo più a fermarmi. Un bagliore di incendio veniva da quella parte. Vidi una capanna bruciare, le donne che la abitavano urlare disperate, gli uomini che cercavano invano di spegnere l’in-cendio che si propagava sempre più, fino ad arrivare agli alberi del bosco, a me. La mia mente mi diceva scappa, scappa, ma io non riuscivo a muovermi. Qualcos’altro mi diceva di andare a soccorrere quelle persone, non so come. Alla fine scattai in avanti, in direzione della casa, della quale ormai rimaneva solo uno scheletro. Le tre donne si erano calmate, a parte una che continuava a urlare, si strappava i capelli, si buttava per terra e gridava "aiuto, aiuto, il mio bambino!". Capii che suo figlio era lì dentro. Senza pen-sare, mi gettai tra le fiamme. Non so come, riuscii a trovare il bambino. Lo presi in braccio, corsi fuori, tossendo e urlando perché la mia camicia da notte aveva preso fuoco. La madre nel frattempo non ave-va retto l’emozione, aveva perso i sensi. Appoggiai a terra il neonato, mi tolsi in qualche modo la camicia da notte, dopo lo ripresi in braccio e feci per portarlo alla sua famiglia. Lo guardai, non piangeva. Lo guardai. Finalmente lo vidi. Era come raggrinzito, completamente ricoperto di piaghe. Le fasce erano bruciate, scomparse. Era viscido al tatto, come una lumaca. Non si muoveva. Era un orribile bambino morto. Lo lasciai cadere a terra, schifata e spaventata. La madre si era ripresa e continuava a urlare, ur-lare disperata. Rassegnata. Anche lei aveva capito. Mi lasciai andare, seduta sull’erba. Guardavo quella famiglia, distrutta dall’incendio, sempre più assente e assorta nei miei pensieri. A cosa servivano le gri-da? A cosa gli strepiti? La voce di quella donna non era riuscita a salvare niente. Suo figlio era morto, la sua casa era distrutta. E adesso stava urlando contro di me, dandomi la colpa di tutto, dicendomi che ero stata io a scatenare l’incendio, che da quando ero arrivata lì, in quella zona tutto era andato male, che ero io la causa di tutte le disgrazie della sua famiglia. Che lei mi aveva sentito, gridare quella matti-na. Avevo attirato una maledizione su di loro. Mio padre, il mio nuovo padre, mi venne a prendere e mi riportò a casa. Mi protesse dalle voci dei vicini e dall’Inquisizione, fino a quando non si dimenticarono di me. Il mio passato non mi aveva abbandonato, come speravo. lo ero rimasta la strega che ero quando abitavo in città. Avevo qualcosa che non andava, sicuramente. Le mie frasi sconnesse in realtà avevano un senso: predicevano le disgrazie. Non potevo sapere che si trattava solo di una coincidenza. Ma in quel momento, decisi di non parlare. Mai più.
Francesca Mastrogiacomi
TAG ARTICOLO
La community di VareseNews
Loro ne fanno già parte
Ultimi commenti
Castegnatese ora Insu su Raid vandalico nella tensostruttura di Castronno: rubati i palloni e divelti gli estintori
Bruno Paolillo su Varese e la crisi del commercio: interviene anche Paolo Ambrosetti tra dati allarmanti e la replica del Comune
GrandeFratello su Arrivano i treni Varese-Milano Centrale. Ma solo per due giorni
Massimo Macchi su Tarip, le prime fatture fanno discutere. Coinger: "Una rivoluzione culturale"
PaGi su Si è ribaltato un altro grosso tir, traffico in tilt tra Somma Lombardo e Malpensa lungo la via Giusti
gokusayan123 su Si è ribaltato un altro grosso tir, traffico in tilt tra Somma Lombardo e Malpensa lungo la via Giusti
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.