Uscire dalla crisi? «Yes, we can»
Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia: «Non facciamoci del male: dal tunnel non si esce da soli, ma con una solida squadra»
Uscire dalla crisi? «Yes, we can». Ad alcune condizioni, però. Michele Tronconi, presidente di Sistema Moda Italia, all’odierno convegno organizzato all’Università Carlo Cattaneo-Liuc su industria tessile e moda fra competizione globale e identità territoriale, ripete le sue analisi e le sue ricette, quasi da “dottore” di un tessile-moda-abbigliamento malato cronico. Ma è un medico ottimista: e non solo per rassicurare il paziente. «Ci sono condizioni esterne ed interne al mondo dell’imprenditoria in questa crisi» precisa. Quelle esterne hanno valenza politica e dalla politica attendono risposta. C’è la questione del made in Italy, “psicologica” e di marketing se si vuole, per dare al consumatore la certezza di acquistare un prodotto realmente nazionale (non solo nell’etichetta e nel prezzo); ci sono i costi del lavoro, «con il paradosso tutto italiano di un netto in busta paga fra i più bassi d’Europa e di un costo per l’azienda fra i più alti»; e i costi energetici, derivanti per Tronconi da pianificazioni sbagliate del passato. «Non possiamo essere un Paese privo di materie prime, ma che non controlla i costi di trasformazione»: perchè di quello viviamo. C’è poi la concorrenza estera: «Dalla Cina tuttora arriva merce che costa nulla, con il dollaro sotto le scarpe come valore e costi del lavoro, ambientali e così via che non vengono internalizzati» come invece avviene, giustamente, da noi. Risultato: i prezzi all’importazione sono caduti del 19% in pochissimo tempo, mentre quelli alla vendita sono addirittura cresciuti. Una forbice sospetta, assente nei maggiori Paesi europei ad eccezione della penisola iberica, e che Bruxelles ha “diagnosticato” come un problema di distribuzione: troppi retailer, o dettaglianti. Altrove, i benefici della globalizzazione si sono visti, qui no. Né per le aziende, strozzate, né per la clientela, gabbata. Forse per qualcuno che fa la cresta.
Per Tronconi il problema è un altro: è negli occhi di chi compra. «È accaduto che il consumatore premiasse determinati marchi credendo che si trattasse di produzioni nazionali». Ancora una volta il problema del made in Italy, ancora una volta il peso schiacciante della pubblicità sulle coscienze – e sui portafogli.
Le condizioni puramente "interne" per uscire dalla crisi si riducono a due concetti base: unità e internazionalizzazione. «Operiamo ancora in base al principio mors tua vita mea, ma dal tunnel da soli non si esce. Che senso ha sopravvivere alla crisi se tutti i tuoi fornitori e clienti sono stati stroncati?» Bisogna invece fare gruppo, «scegliersi la propria squadra e avanti con quella. Non si può più ragionare con la logica del breve periodo, del prezzo più basso a tutti costi. Siamo di fronte ad un calo di fatturato del settore che va dal 20 al 40%: oggi come oggi, non guadagna nessuno». La situazione è dura, ma Tronconi resta ottimista perchè «ci sono praterie inesplorate» per il tessile-abbigliamento e moda. Più che di praterie, si tratta di taiga, visto il gelido esempio che il presidente di Sistema Moda Italia porta: la Siberia. «Ci siamo andati ai primi di settembre, alcune aziende abbiamo dovuto quasi portarcele di peso». Una volta, in Siberia, ti ci deportavano in Gulag su carri bestiame, oggi ti ci trascinano in aereo per fare business: ieri come oggi, è un territorio con risorse da sviluppare. Il cuore dell’industria russa di gas e petrolio porta con sé una società benestante di una certa consistenza (ci sono città di centinaia di migliaia di abitanti), «che vuole il prodotto italiano perchè sa che è di assoluta qualità». E l’affare è dietro l’angolo.
In conclusione, «non facciamoci del male da soli» è l’appello di Tronconi, «evitiamo di vendere la nostra primogenitura nel settore per il proverbiale piatto di lenticchie». Perchè dalla crisi si può e si deve uscire. E per ribadirlo Tronconi riprende lo slogan di Obama: Yes, we can.
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