Alfa Romeo: “Ma i soldi promessi dalla Regione dove sono finiti?”
Negli anni scorsi erano stati stanziati dal Pirellone 60 milioni di euro per rilanciare il lavoro nell'area dell'Alfa ma di questi soldi ne sono stati usati solo 4. Martedì i lavoratori saranno in Regione
I lavoratori dell’Alfa Romeo di Arese hanno appena terminato la manifestazione per evitare la chiusura della loro fabbrica. Hanno occupato per oltre un’ora l’autostrada A8 per dire no al trasferimento a Torino dei 232 lavoratori «superstiti» al centro stile della fabbrica milanese. «Tra di noi c’è gente che lavora qui da oltre 20 anni è assurdo pensare di trasferirci a Torino – dice un lavoratore -. Ho una figlia di 18 anni e una moglie, voglio rimanere qui a lavorare. A Torino il nostro destino sarebbe segnato, perché lì sono quasi tutti in cassa integrazione».
I lavoratori di Arese (gli ultimi ormai a parte quelli dei call center) sanno di essere con l’acqua alla gola e attuano tutte le forme di protesta. «Martedì andiamo al Pirellone a chiedere conto di quei 60 milioni di euro per la conversione dell’area industriale lasciata libera da Alfa Romeo. Di quei soldi ne sono stati usati solo un parte, circa 5 milioni. Noi chiediamo che la Regione si impegni a portare qui altro lavoro».
I lavoratori temono che l’area diventi un nuovo territorio di conquista per centri commerciali e negozi e quindi chiedono che l’area resti ad uso esclusivamente industriale. Si tratta di manodopera specializzata. Qui fino ad oggi sono stati progettati i prototipi di Alfa Romeo e venivano realizzati i pezzi unici in attesa che a Torino venissero scelti i modelli da produrre. Tecnici e operai erano l’ultima frontiera dell’azienda automobilistica milanese rimasti a presidiare migliaia di metri quadri di nulla: «Qui la Fiat ha fatto finire miliardi di ore di cassa integrazione, cinque mila miliardi di lire negli anni ’90 per salvare i posti di lavoro e i fondi stanziati dalla regione, ma non ha salvato niente- racconta un gruppo di operai della vecchia guardia – . Negli anni ’70 qui c’erano ventimila lavoratori oggi ce ne sono 230».
L’azienda ha spostato due terzi della produzione all’estero e dopo la chiusura Arese – fanno intendere i sindacati – in Italia seguiranno altre chiusure.
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