“In mezzo a quei grattacieli ci sentivamo piccoli”
Edoardo Borgo racconta le prima fasi della nascita di un'azienda biotech negli Stati Uniti. Dopo meno di nove mesi dai primi contatti Biocell ha aperto il proprio centro
Il 17 febbraio si sono ritrovati intorno a un tavolo e da lì a poche settimane sarebbe nata nata la Biocell corporation. Merito di un gruppo italiano con epicentro a Busto Arsizio e del MassBio di Cambridge. Una sorta di associazione di categoria che, con una sede all’ingresso del Mit, assiste progetti e start up di imprese. Intorno a quel tavolo c’erano tutte le figure necessarie per dar vita alla nuova società: avvocati, consulenti immobiliari, esperti di ogni tipo, consulenti scientifici.
La Biocell si occupa di ricerca e della conservazione delle cellule staminali prelevate dal liquido amniotico. Una vera frontiera della medicina.
Un attore di primo piano dell’impresa è stato Edoardo Borgo. Ventotto anni, gallaratese, una passione per il golf e la politica. La sua forza è la caparbietà e la fiducia. Sempre sorridente e disponibile ha l’organizzazione nel sangue. Si è laureato in Scienze della comunicazione all’Insubria e poi ha conseguito un master in marketing alla Bocconi. Dopo una serie di lavori sempre nel campo del marketing è andato a occuparsi di sviluppo del business all’Insubrias Biopark di Gerenzano.
"Il ruolo del parco, – racconta Edoardo, – è quello di creare una rete e un supporto per le imprese biotech del territorio. Proprio mentre lavoravo lì, nel mese di dicembre 2008, mi venne chiesto di fare una ricerca di mercato per avviare un centro negli Stati Uniti. Dopo due mesi facevo già parte dello staff di Biocell".
Inizia così il rapporto con il centro di Busto Arsizio. Da qui all’arrivo a Boston la strada sembrava lunga, ma la storia ha un suo interesse che va anche oltre questa specifica attività, perché spiega bene come funziona uno start up oltre oceano.
Come avete scelto di aprire la Biocell corporation a Boston?
«A febbraio di quest’anno io, Marco e Simone Maccagnan (esperto del settore perchè proprietario di Gimac, azienda di eccellenza nel campo dei medical device) siamo venuti per la prima volta ad esplorare di persona il mercato. Eravamo orientati su Brewster (stato di New York, a mezz’ora da Manhattan) perchè un nostro partner aveva già lì la propria azienda. Tuttavia i dati che avevamo in mano ci dicevano che l’area più florida dove insediare un’azienda biotech era quella di Boston…e così in quel viaggio abbiamo speso un paio di giorni qui e abbiamo deciso che la zona doveva essere questa».
E quali sono stati i passi successivi?
«Un passo molto importante è stato entrare in contatto con il Massachusetts Biotechnoogy Council, che ha un network di grande valore e ci ha supportato nella ricerca di partner e fornitori. Le prime trasferte le ho dedicate alla ricerca del giusto stabile dove insediarci (è stata una ricerca molto "faticosa") – dopodichè abbiamo selezionato la struttura di Medford, proprio a due passi da Boston, che ci è piaciuta molto. Qui ci sono decine di altre aziende biotech insediate – e quindi rappresenta una sorta di cluster biotech già di per sè».
Dalla sede al personale…
«Si. Una volta trovata la sede ci siamo trovati di fronte ad un’altra scelta strategica, cioè la ricerca del personale. La cosa più logica in questi casi prevederebbe di appoggiarsi a società di Recruitment o Head Hunting (letteralmente cacciatori di teste – esperti nella selezione di persone di alto profilo manageriale) coi quali abbiamo effettivamente avviato dei contatti, ma le cui richieste non coincidevano con i nostri piani di sviluppo. Per questa ragione siamo andati di persona all’uffico del personale della Harvard Business School, spiegando chi eravamo, cosa stavamo facendo e che avremmo voluto entrare in contatto con il loro network di studenti/ex studenti/manager. Siamo stati accolti benissimo e detto fatto, dopo una prima intervista telefonica, ho selezionato e fatto il primo colloquio a diverse persone. Il risultato è stato che dopo un mese avevamo scelto la nostra attuale CEO – Kate Torchilin, laureata a Mosca, un PhD alla Tufts University e MBA ad Harvard – che porta con sè un incredibile bagaglio di esperienza e conoscenze nel campo manageriale e delle biotecnologie. Con lei poi ho selezionato il resto del personale ed insieme a lei ho terminato i lavori strettamente connessi all’operatività della struttura fino all’inaugurazione di pochi giorni fa»!
Sembra tutto facile, ma è davvero stato così?
«Insomma… Qui sono molto concreti e disponibili. Se vedono che un’idea è interessante e c’è determinazione ti aiutano molto, ma ci sono stati diversi momenti di difficoltà. Momenti in cui tu che vieni da Busto Arsizio ti senti troppo piccolo per stare qui in mezzo. Devo dire molto sinceramente che se siamo riusciti a portare a termine in così breve tempo ciò che ci eravamo prefissati, è soprattutto grazie alla visione e alla condivisione di un progetto affascinante. A volte, in situazioni di difficoltà, mi accorgevo che non era più una questione di strategia o di come fare qualcosa, ma diventava semplicemente una questione di "fare" e andare avanti».
Una gestazione di meno di nove mesi. Quasi un segno per voi che vi occupate di cellule staminali nel liquido amniotico?
«Certo, rapportato ai tempi che conosciamo in Italia sembra un miracolo. Stare qui nella terra del biotech è davvero straordinario. A Medford, comune dove ha sede il Biocell, c’è la Tufts che è una delle più prestigiose università dove si studia biologia in America. Oltre a questa ci sono centri di ricerca ovunque tra cui quelli della Harvard Medical School con cui stiamo avviando un progetto per studiare l’impiego delle staminali nelle retinopatie».
Da un punto di vista personale cosa rappresenta questo progetto?
«È un’esperienza grandissima. Mi ha permesso di sperimentare tante competenze. Come dicevo prima non è solo rose e fiori perché all’inizio quando non avevamo ancora né la sede, né un minimo di struttura organizzativa mi sentivo perso. Anche solo entrare in banca a discutere con il direttore per gli aspetti operativi, o con i consulenti legali per aspetti contrattuali, mi faceva sentire inadeguato. Ricordo una riunione non so a che piano di uno dei grattacieli di Boston, mi sembravo così piccolo che non pensavo sarei riuscito a gestire tutto quello che andava fatto».
E invece ora siete qua ed è venuto anche Deval Patrick, il governatore dello stato del Massachusetts, a inaugurare il centro?
«Una bella soddisfazione. Soprattutto se pensiamo che davvero siamo accolti non per una semplice idea da sviluppare, ma per un progetto strutturato. Un valore che ci ha riconosciuto molto anche la Regione Lombardia, vista la presenza di Paolo Alli, capo gabinetto del presidente Formigoni».
Cosa potrebbe consigliare ai giovani del nostro territorio?
«È la passione l’elemento vincente. Se si crede a un progetto la tenacia e una certa dose di "fortuna" fanno il resto. Sono questi gli ingredienti che mi hanno aiutato nei momenti di difficoltà».
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