La fabbrica fantasma cinese che nessuno aveva visto
Una villetta trasformata per mesi in un incredibile mondo sommerso. Era stata affittata nel 2008 da un cinese e subaffittata a un imprenditore tessile connazionale. Dentro alloggi e produzione
La superproduzione è ventiquattrore su ventiquattro, costo del lavoro inesistente, contributi zero, in cambio qualcosa da mangiare e un letto dentro un loculo di legno. Al buio. In salone le macchine per cucire, in cucina cibo surgelato e anche i topi. I sommersi del tessile sono stati scoperti all’interno di una grande casa, al numero 4 di via Gorizia a Casorate Sempione. Una villa di 1200 metri quadri, un ampio giardino, vicini di casa con macchina cane e giardino, e in mezzo un lager del lavoro. Da non credere. Non che i cinesi che lavoravano nella fabbrica fantasma (al comune non risulta alcuna attività produttiva) fossero sequestrati. Semplicemente erano al lavoro e avevano accettato un alloggio di fortuna. Clandestino e disumano ma accettato, forse per motivi culturali, o per mancanza di alternative. I carabinieri di Somma Lombardo, la polizia locale di Casorate, il nucleo ispettivo della direzione provinciale del lavoro, sono rimasti tutti a bocca aperta.
La casa è stata trasformata per mesi in un incredibile mondo sommerso. Era stata affittata nel 2008 da un cinese e subaffittata a un imprenditore tessile connazionale. Quest’ultimo aveva una ditta individuale ma non a quell’indirizzo. Ha pensato di usare i suoi connazionali, disciplinati e senza alternative, per abbattere il costo del lavoro, dando in cambio un ostello. Le ottante postazioni della fabbrica erano state divise in tre locali di produzione per camicie, giacche, pantaloni. Si faceva il taglio, la cucitura, la stiratura e il confezionamento, su tre piani diversi della villetta. Tutti alla luce elettrica, perché fuori non si doveva vedere e toccava nascondersi. Gli abiti uscivano con la scritta «Made in Italy» e andavano in direzione Milano, dove erano pronte per essere vendute con un costo di produzione esigo. Non è chiaro se e quanto guadagnassero i 30 cinesi trovati in quel momento nella fabbrica fantasma, di certo avevano creato un microcosmo dentro la villetta sigillata, un villaggio, in condizioni estreme.
All’interno, ognuno aveva i letti, le foto di famiglia, persino un quadro di nozze con marito e moglie, le ciabatte, gli indumenti. Tutti avevano il computer, con una chiavetta internet. Era l’unica gioia della loro vita il computer, i carabinieri raccontano che anche quando sono entrati, i lavoratori sono stati mandati nelle loro stanze, e hanno acceso gli schermi per rilassarsi, guadarsi un film in lingua madre o svagarsi con un videogioco.
Pochissimi si erano accorti che dentro la villa si lavorasse. Solo la Polizia locale aveva cominciato a sospettare, perchè nei giri di pattugliamento notturni, la casa aveva sempre le finestre accese, anche nel garage. Sul campanello non c’erano nomi e anche suonando non si otteneva risposta. Il sindaco Giuseppina Quadrio è entrata nella casa nel pomeriggio e si è commossa: «Mi sembra impossibile che nel 2009 ci sia ancora qualcuno che possa vivere lavorare in questo modo».
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