I pm: ecco tutti gli indizi contro Piccolomo

Orari, presunto alibi, movente, incongruenze. La tesi dell'accusa e gli elementi che aggravano la posizione del presunto killer che ha mozzato le mani a Carla Molinari

omicidio cocquio carla molinari varese Giuseppe Piccolomo si proclama innocente, dice che non ha ucciso lui Carla Molinari. Ma le incongruenze nella sua difesa, secondo l’accusa, costituiscono una ulteriore prova della sua colpevolezza. Vediamo perché.
La testimone dei mozziconi e gli occhiali di Pippo
"Pippo", durante l’udienza al tribunale del riesame, ha sostenuto che non era lui, il 5 novembre, l’uomo che una teste vede, all’esterno del bar «Bistrot» di Cocquio, mentre versa dei mozziconi di sigaretta, da un posacenere a un astuccio. Perché? «Perché io porto sempre gli occhiali, mentre la persona indicata dalla testimone non li aveva». La circostanza è, se si vuole, bizzarra, perché Piccolomo, mentre faceva questa dichiarazione ai giudici, come si può vedere anche dalle immagini dei tg, non portava occhiali. Dunque, non sarebbe vero che li indossa sempre. Com’è noto, quei mozziconi, sono stati trovati a casa della vittima: un tentativo di depistaggio.
 
L’indizio: la felpa scomparsa
La procura ha portato ai giudici del riesame altri fotogrammi in cui si vede Piccolomo, il giorno del delitto, che, a bordo della sua Nissan Micra, è nel parcheggio del centro commerciale di Cocquio. Le immagini lo ritraggono tra le 12 e 48 e le 15 e 07 mentre transita a bordo dell’auto in zona Contrada Motto dei grilli (a 50 metri da casa di Carla Molinari). Nei fotogrammi si nota che indossa una felpa bianca, voluminosa, con cappuccio, che però prima non aveva. Secondo la testimone che lo vede prendere i mozziconi (alle 10 e 30/ 10 e 45 di quella mattina) Pippo è vestito in un altro modo. Dunque, l’accusa ipotizza che Piccolomo si cambi d’abito poco prima delle 12, perché sta pensando di commettere il delitto (o la rapina poi sfociata in delitto). I fotogrammi confermano l’abbigliamento, e il fratello di Piccolomo conferma altresì di averlo ricevuto a casa, vestito così, alle 13 e 30, a Cocquio, per dargli un compressore. Alle 15 e 07, la telecamera lo riprende mentre si sta dirigendo verso casa di Carla, e le figlie di Piccolomo hanno affermato che l’uomo ritratto è lui.
C’è però un problema: Il gip, nella prima ordinanza di custodia cautelare aveva scritto che non era identificabile. La spiegazione è questa: il giudice aveva a disposizione pochi fotogrammi rispetto a quelli estrapolati successivamente che chiarirebbero meglio la circostanza. Il pm Luca Petrucci, davanti ai giudici, ha posto una domanda importantissima. «Dov’è finita quella felpa bianca che si vede nelle immagini? Perché non ce la fa ritrovare?». I vestiti che Piccolomo indossava tra le 12 e le 15 di quel giorno, infatti, non si trovano più. E nemmeno nelle lavanderie dei dintorni sono stati rinvenuti. Secondo l’accusa sono stati occultati perchè erano sporchi di sangue. Ci sono infine i tabulati dei telefoni che lo indicano in zona, a Cocquio, e per quelle ore non ha un alibi.
 
Il movente: i soldi
Piccolomo uccide Carla Molinari, secondo l’accusa, perché vuole i soldi, ma non li trova. Sa che la donna tiene del denaro in casa, è una 82enne sola, e senza parenti stretti; la conosce perché aveva fatto in passato lavori di imbiancatura, non ha mai avuto una relazione con lei come erroneamente affermato da un teste, tuttavia spera di ricavarne denaro, perché ne ha bisogno, un bisogno disperato, come dice alla moglie marocchina per telefono (le intercettazioni lo provano). Uccide la vittima, forse preso da rabbia, perché quei soldi, che devono essere in casa (tutti gli anziani hanno dei soldi in casa) sono davvero introvabili. La squadra mobile di Varese, li rintraccia, qualche giorno dopo, solo grazie a una indicazione di una parente che però non li aveva mai visti. Erano dietro uno zoccolino, sul muro, al livello del pavimento, in una stanza della casa. 3.700 euro, intatti e introvabili: il movente.
 
La firma di Carla: i graffi
Piccolomo sostiene che si è procurato i graffi in ottobre mentre andava a vedere un cantiere. L’architetto che era con lui lo smentisce. Al Riesame ha abbozzato una nuova spiegazione, e cioè che era caduto nei rovi, prima che l’architetto arrivasse e che poi questi non lo avrebbe mai guardato bene in faccia. Al di là della dichiarazione, c’è da rilevare che Piccolomo diede un’altra spiegazione, la mattina del 6 novembre, alla donna che al comune di Ispra, mentre era andato per la notifica di una atto, lo guardò fisso negli occhi avendo notato i graffi ancora rossi di sangue. «Niente, non è niente – avrebbe detto secondo le accuse e senza neanche che il messo facesse la domanda – me li sono fatti, ieri, cadendo nei rovi mentre andavo a funghi». Una incongruenza che risulta nelle testimonianze.
 
L’alibi del 5 novembre
Nel registro del comune di Ispra c’è una data che non corrisponde alla realtà. La mattina del 6 – il giorno dopo il delitto –  Piccolomo si recò in comune per la notifiica di un atto ma sul documento scrissero che era un’altra data, il 5.  I dipendenti comunali hanno già spiegato che era un errore e che telefonarono a Piccolomo, per farlo tornare, e correggere la data; lui disse che aveva fretta e che l’avrebbe corretta a casa.  La difesa mette però in dubbio che fosse davvero il 6 e che la telefonata fosse di mattina, adombrando la possibilità che si trattasse, effettivamente, del cinque novembre.Un abbozzo di alibi.

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Pubblicato il 19 Dicembre 2009
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