Cooperazione, confusione o strumentalizzazione?
Qual è il ruolo della Regio Insubrica e quale le possibili strategie per un suo rilancio? Sul tavolo un aspro confronto che rischia di "esportare" anche dinamiche politiche nostrane poco gradite in terra elvetica
La tensione nei rapporti tra la Svizzera e l’Italia non è mai stata così alta. Per la nostra provincia tale situazione ha una ricaduta così forte da mettere a rischio anche la posizione di tanti nostri lavoratori che ogni giorno passano la frontiera. Ma nelle scorse settimane le difficoltà delle relazioni sono emerse con forza anche per la gestione della Regio insubrica, la comunità di lavoro nata quindici anni fa proprio per sviluppare una politica comune dei territori transfrontalieri.
Sulla gestione di quella realtà c’è stata un’audizione di Dario Galli al Consiglio di Stato, l’autorità governativa ed esecutiva del Canton Ticino. La stampa ticinese ha dato ampio risalto a quella seduta evidenziando anche le tensioni e le contraddizioni che stanno emergendo sia nel Cantone che in Italia.
Malgrado i tanti proclami fatti in più riprese, non si può non restare colpiti dall’assenza di una capacità o volontà da parte delle anime politiche-istituzionali, a far decollare, su di una base realmente condivisa, le idee e proposte di lavoro che in questi anni sono state sfornate dalla Regio Insubrica.
Il valore del “progetto” della Regio è nella capacità di saper leggere le diverse realtà e culture politiche e istituzionali che convivono in questo fazzoletto prealpino e l’equidistanza con cui si è cercato di proporre la cooperazione. Insomma, questa piattaforma mitigava, di fatto, l’invadenza e i numeri della politica, le logiche delle maggioranze che tanto conosciamo in Italia. Questo valore aggiunto non esiste più. Questo speciale laboratorio oggi sembra avere virato su di un solo colore, diviso, almeno in Italia, tra politici della Lega Nord e del PDL. Questa maggioranza ha permesso di rendere noto il peccato originale di costituzione della Regio Insubrica: la politica.
Qualcuno potrà obiettare che “se gli altri partiti fossero stati eletti nelle province che compongono la Regio, questo problema non sarebbe esistito”. Già, ma il problema c’è e molti in Ticino lo sollevano. Ma lo solleva anche la stessa Italia: si può dire che i partiti di cui sopra rappresentano in quell’istituto tutte le istanze del territorio? Quali progetti lo dimostrano? Non a caso l’informazione, in Svizzera, ha rilevato la creazione, sulla Regio Insubrica, di un “asse leghista”.
Malgrado alcune sparate di Bignasca la Lega Nord e Lega dei Ticinesi non hanno fatto nulla per smentire la cosa. Così il Ticino sembra aver fatto “muro” contro la richiesta di Dario Galli, attuale presidente anche della Regio Insubrica, dirimuovere l’attuale segretario generale Roberto Forte. La stampa ha bollato questa come una mera operazione di partito con un’ingerenza politica in Ticino che non ha precedenti. “La Regio Insubrica non è una piattaforma di battaglia elettorale, ma una piattaforma di battaglia di sviluppo territoriale ed è lì che occorre lavorare abbandonando le altre configurazioni che penalizzano la Regio Insubrica”. Questo il commento del sindaco di Lugano, Giorgio Giudici, in difesa dell’istituto e dell’attuale segretario che si vuole fare passare come capro espiatorio di una mancanza di volontà effettiva a cooperare fuori dagli schemi politici di chi ha invece il potere ed il dovere di cooperare.
Viene allora da chiedersi quanto davvero l’istituto sia stato al centro dell’attenzione delle province e del Cantone Ticino. Perché dobbiamo credere in questo rilancio? Quali basi abbiamo per sperare in un rilancio? L’interesse dell’asse leghista? Forse, ma allora è impossibile tacere che la politica è entrata, come afferma Giudici, all’interno dell’istituto. Forse va rivisto il meccanismo. Adattato alla nuova geografia politica, pur mostrando onore e riconoscenza ai padri fondatori del centro. Possono gli attuali membri politici della Regio Insubrica citarci tre progetti utili fatti in questi anni per le nostre terre, usciti da questo istituto? Possono i vicini ticinesi dirci altrettanto? Ticinesi, cosa vi ha portato la Regio Insubrica? Quando guardiamo documenti pubblici inerenti decine di risoluzioni firmate per il Ticino dal Consigliere Marco Borradori e per l’Italia dai presidenti di provincia, non possiamo non domandarci il perché a quelle firme sia seguito poco o nulla. Ci sono temi di cui si parla da oltre 10 anni. Senza o con pochi risultati. Ci sono gruppi di lavoro sottoscritti e mai partiti. Altri sospesi poco dopo. Perché?
I contatti e le notizie sulla tabella di questo benedetto rilancio sembrano procedere tra un incontro e un rinvio, a tappe forzate di una o due settimane, quasi ci fosse un disegno, già scritto e ratificato, da parte di chi forse non ha interesse ad aprire un vero dibattito che coinvolga tutte le anime politiche, economiche, culturali e sociali di una regione transfrontaliera. Anzi l’impressione è che si voglia chiudere un capitolo e aprirne un altro senza dar troppo nell’occhio.
Eppure nei rapporti annuali di attività della Comunità di lavoro, non sembrano mancare indicazioni e proposte, tracciati con spirito di fredda e serena autocritica, per destare la Comunità di lavoro da quello che sembra un letargo congenito. Perché non apriamo questo strumento di cooperazione ad un dibattito ampio che coinvolga tutti quanti?
Infine, caro Canton Ticino, la cooperazione che, a onor del vero forse servirebbe soprattutto le tue istanze, in quanto realtà svizzera di minoranza, al confine con un paese così contradditorio e complicato, ha bisogno di te; di tutte le tue forze politiche e sociali. Ha bisogno di sapere se credi ancora che possa portare quei risultati che non sono mai arrivati o forse pensi ad altri lidi e strumenti. Nonostante tutto, anche ai tempi dello scudo, molti di noi vi guardano ancora con ammirazione e rispetto. Aiutateci ad aprire una riflessione democratica e condivisa sulla cooperazione che badi più ai programmi e alla collegialità e meno alla politica.
A proposito di cooperazione, per terminare, c’è un dato che forse farà sorridere ma fotografa bene il rapporto di conoscenza e collaborazione che oggi esiste tra i due Paesi. Nei mesi scorsi è stata lanciata la campagna sul “patto della sicurezza dei laghi” per pattugliare e presidiare la zona dei laghi da possibile criminalità. La Padania qualche giorno fa, a proposito, titolava in un taglio centrale “Laghi e Ticino – Il patto svizzero”. Si leggeva che ciò permette di “agire su cosa esattamente serve in una realtà”. Il giorno dopo quel pezzo, Il Corriere del Ticino, titolava “I clandestini preferiscono il treno”.
Per inciso, a Bellinzona, di quel patto, non sanno nulla. Parliamoci.
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