Io e Vittorio Sereni abbiamo in comune Eufemia
Franco Orsi è l'art director che ha allestito la mostra alla Sala Veratti dedicata al poeta e curato il progetto grafico del catalogo. «Il poeta era un uomo del voler fare»
Un elefante con un paio di occhiali giganti che cerca di suonare un tamburo e un organetto. Tre adulti-bambini lo guardano, incantati, con le braccia appoggiate al recinto. Sono Alfonso Gatto, Oreste Del Buono e Vittorio Sereni. Quella foto è stata scattata da Federico Patellani nel 1951 ai giardini pubblici di Milano ed è stata inserita nella mostra della Sala Veratti di Varese dedicata al poeta di Luino.
Uno scatto che unisce il passato del poeta al presente di Franco Orsi (foto), l’art director che ha curato l’allestimento della mostra e il progetto grafico del catalogo. «È una foto – dice Orsi – che mi ha fatto ritornare bambino. Quando avevo tre anni , a metà degli anni Cinquanta, ricordo di essere stato ai giardini di Milano e di avere visto quell’elefante, anzi elefantessa, perché si chiamava Eufemia».
Sulla strada degli organizzatori c’è stata una coincidenza interessante, svelata da Giovanna Sereni, figlia dello scrittore. «Io per il catalogo avevo in mente un formato quadrato e quando ho incontrato Orsi ho constatato che lui lo aveva già pensato e progettato esattamente con quel formato».
«In effetti – spiega l’art director – c’è stata fin da subito una grande sintonia. È un formato femminile che io avevo pensato più come volume che non come catalogo. È stato un lavoro interessante e duro perché i tempi tecnici per la realizzazione erano strettissimi, Con Barbara Colli, curatrice del catalogo, abbiamo lavorato giorno e notte».
Allestire la mostra di un poeta non è facile, come conferma Orsi. «Se devi pensare un allestimento per un pittore è meno complicato, hai le opere stesse che ti aiutano. Questa mostra , però, ci svela l’intellettuale, l’artista, e al tempo stesso l’uomo. Dalle immagini di questa esistenza, mi sono fatto un’idea precisa di Vittorio Sereni: era una persona del voler fare e del saper fare».
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