Letta: “Le regole ormai si fanno a beneficio di chi ha il potere di cambiarle”
L'ex ministro ha inaugurato la nuova sede cittadina del PD. "La vera porcata del decreto salvaliste riguarda il Lazio, non la Lombardia" denuncia. "Siamo oltre ogni limite: faremo ostruzionismo". "A Malpensa quando governavamo noi si faceva la fila, ora invece..."
Il berlusconismo dato culturale e "antropologico" del Paese contro cui battersi giorno per giorno. Già da oggi stesso, a suon di manifestazioni e cortei; domani, con il voto; dopodomani, con una politica che torni a occuparsi di ciò che davvero preoccupa gli italiani, e non accetti una "narrazione" di comodo, propagandistica e slegata dalla realtà.
Questi alcuni dei temi toccati da Enrico Letta nella sua visita presso la nuova sede del Partito Democratico di Somma Lombardo in via Zancarini, pieno centro storico, inaugurata con il classico taglio del nastro tra numerosi nomi che contano del partito a livello provinciale e non solo, amministratori e candidati (da Marantelli e Tosi ad Adamoli, da Prati a Picco Bellazzi…) oltre naturalmente al candidato sindaco Jimmy Pasin.
Un Letta itinerante da campagna elettorale, lui pur toscano, ma che porta in giro per l’Italia le ragioni del voto al PD. Senza esimersi dal tornare sulla vicenda del cosiddetto decreto interpretativo varato venerdì sera dal governo Berlusconi. È vero che non è servito, finora, a far rientrare in gioco nel Lazio la lista del PdL esclusa – si saprà in serata – ma proprio quello per Letta era il suo vero obiettivo: «Il TAR avrebbe riammesso la lista di Formigoni anche senza quel decreto. La vera porcata fatta con quell’atto è stato cercare di far riammettere il PdL nel Lazio, una lista che semplicemente non c’è perchè non è stata presentata. Cos’è successo? Semplice, erano in due a consegnare la lista, e ancora si disputavano il posto da capolista… Uno ha preso il faldone, se n’è uscito, il tempo per la consegna è scaduto».
Sulla vicenda del decreto salvaliste Letta è netto e severo: «Se la lista non ammessa a Roma fosse stata quella del PD, credete che questo decreto si sarebbe mai fatto?… Le regole ormai si fanno a vantaggio di chi ha il potere di cambiarle. Lo spaccato che emrge dalle intercettazioni relative alle ultime vicende di cronaca legate alla politica (caso schede truccate ndr), del resto, ci riporta un’Italia schifosa, in cui contano solo le conoscenze». Filippiche a parte, Letta nota che «ancora una volta Milano e la Lombardia sono state barattate per coprire le vergogne del governo a Roma e altrove. La vera porcata è stato il tentativo di rimmattere la lista del PdL nel Lazio, ripeto…» Ma anche in Lombardia «ora graverà sui vincitori delle elezioni regionali la spada di Damocle dei ricorsi, non è detto che la prossima consigliatura arrivi alla fine dei suoi cinque anni». Quanto al Presidente Napolitano da più parti criticato per aver firmato, Letta ne difende, debolmente, il ruolo "notarile" in questa vicenda.
Introdotto da Francesco Calò, Enrico Letta ha parlato con pacatezza ma preannunciando lotta dura: «In questa campagna non ci risparmiamo di certo» osservava, «meno che mai con quel che si è visto negli ultimi giorni, che ha caricato le elezioni di ulteriori significati. Da domani faremo ostruzionismo in Parlamento, Berlusconi invece di scusarsi ha subito ripreso ad insultare le opposizioni: siamo oltre ogni limite sopportabile».
Quello che Letta vuole però evitare, e lo dice, è di arrivare al voto come un referendum personale contro Berlusconi, l’ennesimo. Troppo pericoloso stare al gioco dell’estremizzazione, fa comodo solo a lui. E serve unità. «Dovremo anche sopportare chi cerca di lucrare voti da noi, piuttosto che di allargare il consenso alle opposizioni. Dividerle sarebbe il più grande regalo per Berlusconi». Sì, perchè questo è un voto decisivo: «I suoi effetti ce li teniamo per tre anni», fino al prossimo voto politico del 2013. Bisogna non fare il gioco di questo centrodestra e concentrarsi su temi concreti, sui fatti, sfuggendo alla "narrazione" del Paese voluta da media schierati. «Seri e affidabili sondaggi ci dicono che nelle preoccupazioni degli italiani il lavoro è in testa (70%) e molto, molto dopo (6%) vengono giustizia e sicurezza. L’attenzione che si dedica, anche in Parlamento, è inversamente proporzionale a questo rapporto», riflettendo le ossessioni di chi comanda e dei suoi alleati.
Il centrodestra va inseguito e stanato laddove non dà risposte: su scuola, cassa integrazione, credito a imprese e privati, sul Piano casa, «una grande bolla di sapone che per giorni ha riempito le pagine dei giornali berlusconiani per poi perdersi…» E ancora gli ammortizzatori sociali, vecchi di trent’anni e passa, studiati per la società della grande industria e dei contratti a tempo indeterminato – quando il lavoro era lavoro, insomma. E il patto di stabilità che ingessa i Comuni e stronca le opere pubbliche, impedendo al volano della spesa pubblica di aiutare il rilancio dell’economia. «Quando governavamo noi a Malpensa si faceva la fila» dichiara Letta, «oggi la situazione è ben diversa emette a dura prova anche tutti i ragionamenti su Expo 2015, che in Malpensa aveva un pilastro».
Letta "il giovane" (in quanto contrapposto allo zio Gianni, il devoto e indispensabile grand commis di Berlusconi) passa all’analisi sociale quando cerca le radici delle disfatte del centrosinistra. «Perchè siamo stati sconfitti, e com’è possibile il consenso nonostante tutto quello che si può vedere? L’adesione al berlusconismo è un fatto culturale, per noi è il centro della questione. In un sondaggio su un vasto campione di italiani, la maggioranza degli intervistati, richiesta se credesse di poter migliorare la propria condizione nel 2010 rispetto all’anno prima, ha risposto sì. In pratica la stessa percentuale ha risposto no alla medesima domanda, ma rivolta all’insieme del sistema Paese. È questa convinzione di potercela fare per conto proprio, fregandosene della comunità, il nucleo del problema, un dato che per me è il sintomo della vittoria culturale del berlusconismo. Noi dobbiamo farcela invece insieme».
Il problema è porsi come «alternativa credibile»: fin quando non ci si riuscirà «non si potrà scalfire la massa degli indecisi, che antropologicamente aderisce al progetto del berlusconismo pur lamentandosi di continuo di quel che non funziona: l’ho visto tante volte, dialogando anche con gli imprenditori, le cose non vanno ma non riesci a smontare il meccanismo, pensano sempre che "lui (Lui, ndr) è uno di noi, almeno sa cosa vuol dire alzare una serranda ogni giorno…"» Conclusione: «Il Paese non ne può più di Berlusconi, ma ancora non riesce a liberarsene».
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