Con la crisi gli italiani bevono meno
È l’anno più critico per i consumi alimentari domestici dal Dopoguerra a oggi. Il punto della situazione di Luigi Pelliccia, responsabile dell’Ufficio studi di Federalimentari
«Mi trovavo a Santa Fe, nel New Mexico, e ho visto sullo scaffale di un negozio una scatola di pelati. Sull’etichetta la figura di Pulcinella e del Vesuvio. L’ho presa e guardando bene ho visto la scritta “made in Cile”. Il vero finto italiano». La contraffazione dei prodotti alimentari, secondo Luigi Pelliccia, responsabile dell’Ufficio studi di Federalimentari, è uno dei mali del settore da combattere, soprattutto in un momento come questo, dove le famiglie hanno meno soldi in tasca e quindi vanno a caccia del prezzo più basso, spesso a scapito della qualità.
Nonostante quello alimentare sia un settore anticiclico (non dovrebbe risentire della recessione in atto, per lo meno non come gli altri settori), la crisi ha fatto sentire i suoi effetti anche sulla voglia di mangiare e soprattutto di bere degli italiani. I consumatori hanno tagliato gli alcolici (-7% dei consumi) e anche la pasta, regina della cucina italiana, ha avuto una piccolo cedimento. «Per noi l’impatto della crisi inizia ad arrivare adesso – continua Pelliccia – . È l’anno più critico per i consumi alimentari domestici dal Dopoguerra a oggi, per la prima volta c’è un calo nella valuta corrente dei consumi tanto da far registrare un – 3,5 %. Le persone sono più attente, fanno tanti piccoli acquisti e sprecano meno».
Tengono invece gli ortaggi in scatola e i piatti preparati, che sono l’alimentare del futuro.
Quello dei cibi pronti all’uso è un mercato che in Italia puo’ contare su 6 milioni di potenziali acquirenti, per lo più single. «Quella che si definisce quarta e quinta gamma, come le insalate già preparate e tutte le pietanze già pronte, dove preponderante è la componente del servizio, è sicuramente il business. Negli ultimi due anni ha avuto una crescita a due cifre».
La produzione nel settore alimentare ha fatto registrare un -1,5 per cento, mentre le esportazioni calano del 3,6 %. In provincia di Varese il settore, che conta 27 aziende associate all’Unione industriali della provincia di Varese per un totale di 2.900 addetti, ha registrato un sensibile calo dell’export, passando dai 240,9 milioni di euro del 2008 ai 233,6 milioni di euro del 2009.
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