Ecco perché Google è stata condannata

Dopo due mesi il Tribunale di Milano ha pubblicato le motivazioni della sentenza Google-Vividown, che incrimina Google per aver ospitato un video in cui un minore aggrediva un disabile: "Internet non è una prateria sconfinata"

Sono state depositate poche ore fa le motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano, con la quale lo scorso febbraio sono stati condannati a sei mesi di reclusione alcuni dirigenti di Google. L’accusa al motore di ricerca deriva da un video in cui dei minori aggredivano e umiliavano, in classe, un coetaneo affetto da autismo (e non sindrome di Down, come si legge ancora su molti organi di stampa). Secondo il principio giuridico del mero trasporto, diffuso in tutto il mondo, i proprietari di un sito non sono ritenuti responsabili dei materiali caricati dai loro utenti, in quanto sarebbe impossibile e pericoloso un controllo preventivo su tutti i contenuti. La sentenza italiana sarebbe quindi una novità nel diritto internazionale, a parte un caso simile in Brasile. Per evitare fraintendimenti bisogna anche chiarire che l’accusa riguarda la violazione della semplice privacy del minore ritratto nel video, non di concorso nell’umiliazione (per la quale l’accusa era già caduta).

Probabilmente un’analisi accurata di queste motivazioni potrà essere effettuata solo nelle prossime ore, quando la sentenza sarà disponibile on-line anche per i diversi esperti del settore che si sono espressi negativamente nei giorni scorsi. Nel frattempo non rimangono che alcuni stralci poco significativi della agenzie di stampa.

"Non esiste nemmeno la sconfinata prateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato, pena la scomunica mondiale del popolo del web"
 si legge nella parte trapelata delle motivazioni depositate dal giudice Oscar Magi, "Esistono invece leggi che codificano comportamenti e che creano degli obblighi che, ove non rispettati, conducono al riconoscimento di una responsabilità penale".

"Google Italy trattava i dati contenuti nel video caricati sulla piattaforma e ne era responsabile quindi per lo meno ai fini della legge sulla privacy", prosegue la motivazione, "L’informativa (sulla privacy) era del tutto carente e comunque o talmente nascosta nelle condizioni generali del contratto da risultare assolutamente inefficace per i fini previsti dalla legge".

Secondo alcuni esperti, invece, Google non potrebbe essere ritenuta responsabile in base ad almeno due fattori: la legge italiana sulla privacy si applica solo ai responsabili del trattamento dei dati con base in Italia (lo dice l’articolo 5), inoltre la normativa europea sul commercio elettronico, accolta in Italia, esplicita chiaramente il non obbligo di sorveglianza per i fornitori di servizi di comunicazione. Considerando che ogni giorno vengono indicizzati migliaia di video su Internet, chiedere un controllo preventivo renderebbe di fatto impossibile l’attività dei social network.

Una volta chiarita la motivazione, con ogni probabilità, ci sarà un ricorso in appello da parte dei dirigenti di Google.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 12 Aprile 2010
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