L’industria scomparsa e gli edifici vuoti: la città sospesa aspetta un futuro

La promessa di nuove occupazioni preoccupa gli amministratori, che cercano di mappare le aree dismesse. Mentre, anno dopo anno, al posto delle vecchie industrie sorgono condomini, parcheggi, supermercati, spazi pubblici

La grande industria è morta, ma le fabbriche sono in gran parte ancora lì, anche nel bel mezzo delle città. Dopo il tentativo di occupazione andato in scena sabato scorso, Gallarate si interroga sul futuro degli edifici abbandonati. Nel frattempo alcuni degli edifici vengono usati dai senzatetto, che soprattutto in passato hanno trovato riparo nelle strutture abbandonate. La prima preoccupazione dell’amministrazione è dunque quella di controllare ed evitare nuove occupazioni, fenomeno fino ad oggi raro in provincia: gli Ultimi Mohicani hanno annunciato che vogliono riprovarci. « La Polizia Locale – spiega l’assessore alla sicurezza Paolo Cazzola – si confronta costantemente con la Prefettura e la Questura per mappare le aree dismesse, che potrebbero essere potenzialmente oggetto di attenzione da parte di ragazzi con intenzioni non sempre lecite». Il lavoro è particolarmente complesso per la grande quantità di edifici: mentre le grandi aree sono state in gran parte riconvertite a sedi di piccole imprese o a scopo commerciale, rimangono decine di capannoni ed edifici più piccoli inutilizzati, per non parlare di vecchi cortili e condomini da tempo vuoti. «Anche da parte dei proprietari delle aree dismesse – conclude Cazzola – c’è interesse ad evitare ingressi di persone e quindi a garantire che gli ingressi siano chiusi: la stessa RFI sta provvedendo a murare gli ingressi dell’ex dormitorio delle officine».

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Le officine di via Pacinotti, costruite a partire dal 1904 e chiuse nel 1996, nel quadro della esternalizzazione della manutenzione attuata dalle ferrovie, sono rimaste per anni accessibili a chiunque: bastava entrare dal passaggio lasciato aperto sotto il ponte della Mornera (che oggi è chiuso), per entrare nei grandi capannoni svuotati dai macchinari. Nel tempo si sono aggiunte le aperture abusive realizzate nella recinzione in mattoni verso la ferrovia, visibili per anni da chiunque passasse in treno. Sui davanzali del vecchio dormitorio sono rimaste le scarpe dei clandestini, manodopera a basso costo (per le imprese o per la ciminalità) che trovava rifugio negli appartamenti. Il destino di abbandono è comune ad altre aree ferroviarie, svuotate di funzioni nel tempo e ora pronte ad essere cedute per rastrellare risorse per l’azienda: lo scalo merci è in parte in vendita, i magazzini attendono un futuro ancora incerto, nelle immediate vicinanze ci sono un paio di palazzine vuote da anni. Ma le zone dismesse non sono solo nella zona a sud della stazione: in viale dei Tigli c’è la vecchia centrale elettrica Fs, abbandonata da anni, circondata da alcuni edifici di servizio. In uno di questi, il più lontano dal cancello sul viale, vivono (regolarmente, in due piccoli appartamenti) due famiglie di anziani ferrovieri. Ma accanto si erge lo scheletro di mattoni assediato dalla vegetazione e frequentato da sbandati, in passato soprattutto da tossicodipendenti.

Sul futuro della zona tra la ferrovia e viale Milano, il sindaco Nicola Mucci rimane sul vago: «È necessario riutilizzare quest’area, che è in larghissima parte inutilizzata e a cui si deve restituire vivibilità». Una fascia di territorio lunga e stretta, che già un secolo fa (quando nacquero le officine) era costretta tra la ferrovia e le vecchie case di via Pacinotti e viale Milano. Ogni decisione è rinviata al futuro Piano di Governo del Territorio, che indicherà quale funzione assegnare all’area. Quanto alle altre grandi aree industriali, il recupero e il riutilizzo sono stati in gran parte completati negli anni scorsi, con scelte molto diverse: l’ex Cantoni (nella foto durante la demolizione) si è trasformata in parte in parcheggio, in parte è stata riqualificata come edificio scolastico per l’Ipc Falcone, con una pregevole opera di recupero; una parte attende di essere sostituita da nuovi edifici. L’ex Bellora, tra via Pietro da Gallarate e corso Leonardo da Vinci, è diventato sede di tante piccole e medie imprese, compreso un noto marchio di abbigliamento. Anche il museo MAGA ha riutilizzato in parte un edificio industriale. Stesso destino per una parte dell’ex Maino (la parte su via Riva), così come per l’ex Cesare Macchi, almeno per la porzione che dà su via del Lavoro. «Ma la parte in fondo, verso Caiello, è tutta vuota, anche se sorvegliata» spiegano all’ingresso. Anche qui arriverà il giorno in cui si deciderà di fare ciò che si è fatto per altre aree: come in viale Lombardia, dove alla grande industria si è sostituito il gigantesco centro commerciale Il Fare, inaugurato nel 2007 e chiuso due anni dopo, oggi – quasi uno scherzo del destino – in attesa di essere a sua volta riqualificato. E anche la gran parte dell’ex Maino, quella affacciata su via Pegoraro e su via Macchi, ha subito lo stesso destino: parcheggi e ipermercato a sostituire i luoghi della produzione.

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Pubblicato il 14 Aprile 2010
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