Primo maggio addio?
Sabato 1° maggio i negozi rimarranno aperti a Gallarate e a Busto Arsizio, mentre resteranno chiusi a Varese. Polemici i sindacati, contrari i dipendenti: la polemica infuria
Primo maggio addio? Dopo la domenica, dopo il Natale, l’apertura festiva dei negozi sembra travolgere un altro bastione, quello più significativo: la festa dei lavoratori. Sabato 1° maggio i negozi rimarranno aperti a Gallarate e a Busto Arsizio: anche la provincia s’inserisce nella strada tracciata da altri grandi città, come Torino, Genova, Napoli e Firenze. Diversa la strada scelta da Varese, dove comunque si aprirà domenica 2 maggio. «Abbiamo ricevuto poche richieste da parte dei nostri associati» dicono da Ascom Varese, che con Comune e Confesercenti ha spiegato la sua posizione in un comunicato stampa. «C’è stata solo una richiesta in tal senso da parte di una struttura di grande distribuzione» conferma l’assessore Salvatore Giordano, ribadendo la scelta di tutelare le festività e di attenersi alle disposizioni regionali.
Se nel capoluogo si è scelto per il mantenimento del giorno festivo, diversa è stata la strada intrapresa da Gallarate: «Le richieste – spiega l’assessore al commercio Paolo Caravati – sono venute dalle associazioni, ma anche dalla grande distribuzione, che teme la concorrenza del polo di Somma Lombardo». Dove i negozi sono aperti tutto l’anno, grazie alle norme che riguardano i Comuni "che contribuiscono allo sviluppo aeroportuale". «Abbiamo ritenuto – prosegue Caravati – che ci siano fondati motivi per dare la facoltà: in un momento di crisi, non possiamo dire di no a chi ci chiede di aprire». Lo conferma anche Fabio Lunghi di Ascom Gallarate: «La ragione che ci ha spinto a chiedere l’apertura è legata in parte all’esigenza di tamponare la crisi con un giorno in più, in parte al fatto che comunque quest’anno la festività cade di sabato, non c’è il ponte ed è in programma il tradizionale mercatino del sabato. È comunque un’esigenza che viene dalla maggioranza dei nostri associati». Analoga decisione è stata presa anche a Cassano Magnago.
«C’è una generale competizione al rialzo che non mi trova d’accordo» commenta Gianni Lucchina di Confesercenti. «La pressione per l’apertura straordinaria viene soprattutto dalle grandi catene di distribuzione e costringe anche i piccoli esercizi a tenere aperto. Credo che l’accordo migliore sia quello che è stato raggiunto a Varese». La spinta che viene dai centri commerciali rappresenta una spina nel fianco per molti commercianti, a partire proprio da quelli che hanno i loro esercizi all’interno delle strutture più grandi: «Se apre il centro commerciale – si lamenta il titolare di uno dei negozi del Carrefour di Gallarate – siamo costretti ad aprire anche noi, con il risultato che non esiste riposo, visto che già si lavora spesso anche la domenica». Il malumore è naturalmente condiviso anche dai lavoratori dipendenti e dai precari, che qui si ritrovano a fianco degli stessi esercenti. Non è vero quel che si dice, che in tempi di crisi conviene a tutti fare uno sforzo in più per rimpinguare i magri incassi della settimana? «Ne valesse la pena, poi: ma tanto venderemo di meno che in un normale sabato non festivo», dice la titolare di un negozio di abbigliamento. Ma nel centro delle città si raccolgono anche pareri opposti tra i titolari.
Chi non è d’accordo, quasi sempre, sono i dipendenti. I sindacati, che in altre città hanno assunto posizioni molto dure (in particolare a Milano, dove il sindaco è stato costretto a fare retromarcia), ribadiscono l’importanza della festività: «Ci sono valori che chiedono di essere rispettati, anche in un momento di crisi», sintetizza Carmela Tascone, segretario della Cisl. Il tema della tutela delle festività, del resto, non riguarda solo il primo maggio, ma ripropone la questione dell’allargamento degli orari e delle aperture domenicali, denunciata anche da una campagna internazionale a cui hanno aderito anche associazioni cattoliche come le Acli.
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