Una Fondazione per sostenere l’ospedale di Circolo

La proposta lanciata dal direttore generale dell'azienda ospedaliera, Walter Bergamaschi, davanti alla platea della serata "Insieme in Circolo"

Una Fondazione da intitolare agli Amici del Circolo. Questa la proposta “sfoderata” dal direttore generale dell’azienda ospedaliera varesina, Walter Bergamaschi, per andare a ricucire e rinsaldare i rapporti fra la cittadella della salute e il suo territorio di riferimento. Obiettivo, anzi tema posto con forza nella serata al De Filippi salutata da larga partecipazione, tra filmati, interventi, testimonianze. «Il patrimonio più grande è quello umano, il personale come i volontari» ribadiva Bergamaschi, autore di un intervento introduttivo teso anche a sanare qualche ferita. «Non negherò anche l’insoddisfazione del personale verso una direzione vista come distaccata, so che non saranno questi momenti a sciogliere una radicata disaffezione, ma stasera colmiamo una lacuna, adempiamo al dovere della gratitudine verso chi lavora». Per Bergamaschi «l’ospedale pubblico non è un’azienda, ma un servizio sociale». «Servono persone capaci di creare un clima che renda vincente l’etica della responsabilità, a tutti i livelli e in tutti i settori. Lanciamo dunque la nostra sfida attraverso la Fondazione Amici del Circolo, aperta alle forze vive della città, perchè si rinnovi con azioni e donazioni il sostegno all’ospedale».

Il rettore dell’Università dell’Insubria Renzo Dionigi ha ricostruito il sorgere del rapporto fra ateneo e l’ospedale, la scelta che fece dell’allora sede distaccata varesina della storica università di Pavia una struttura di formazione a sé stante. Non manca l’autocritica: «Abbiamo fatto i difficili, siamo stati assenti alle cerimonie di inaugurazione, ci dispiace perchè abbiamo sbagliato; ma ora siamo orgogliosi, perchè anche gli stranieri indicano questa struttura ospedaliera come una delle più adeguate». Tre i nomi chiave ricordati da Dionigi: Dante Trombetta, che lo accolse a Varese nel 1986, Carlo Lucchina, che ora dirige la sanità regionale, e Walter Bergamaschi, «che ci ha aiutato instaurando il metodo del dialogo e rasserenando l’atmosfera fra componente ospedaliera e universitaria».

Non mancavano il sindaco Attilio Fontana e Raffaele Cattaneo; ma soprattutto c’erano i protagonisti della vita dell’ospedale varesino, ieri e oggi, medici, chirurghi, direttori, personale, premiati pubblicamente perchè pubblico voleva essere il riconoscimento del lavoro svolto, e pubblica l’ammissione che è doveroso venirsi incontro per rafforzare le radici terrioriali e il lato umano dell’ospedale. «L’ospedale è una delle rappresentazioni migliori della nostra città» il saluto di Fontana. «Da sindaco ricevo tante critiche ma dell’ospedale tutti dicono un gran bene». «C’è una strada su cui bisognerà continuare» gli ha fatto eco Raffaele Cattaneo.
«Il cordone ombelicale dell’ospedale è la sua gente» ha detto il direttore della sanità regionale, Carlo Lucchina, in passato direttore generale a Varese. «Conosco la fatica di chi lavora in sanità, c’è chi d’inverno non vede mai il sole, lavorando “dalle stelle alle stelle”». Lucchina ha fatto riferimento alle polemiche sulla stampa, al momento «di grande litigiosità» legale tra pazienti e classe medica, invitando a recuperare i valori di base della professione e del rapporto con i pazienti, da reimpostare in un rispetto reciproco, anche di ruoli.

Numerose ancora le testimonianze di questa serata: un giornalista e amico dell’ospedale come Pierfausto Vedani che a Bergamaschi ha teso il classico ramoscello d’ulivo, riconoscendogli “patente” di varesinità acquisita. «Ci sono stati segnali importanti da parte tua: recupereremo l’antico spirito». Da Vedani un grazie a medici, volontari e dipendenti di ieri, di oggi, di domani.
Sugli otto secoli di vita della sanità varesina, dall’ospitale del Nifontano del XII secolo al monoblocco,il prof. Giuseppe Armocida rifletteva che in ospedali di nuova concezione la storia si fa oggi, giorno per giorno, con una medicina all’inseguimento di mali che sembrano uscite dai romanzi di Italo Calvino: quelli “rampanti”, quelli “dimezzati”, e quelli “inesistenti”. Tutto si tiene, perchè in un lontano futuro l’ospedale-cittadella parrà forse un dinosauro, ma oggi il malato è pellegrino fra le strutture come negli xenodochi medioevali…
Fra aneddoti ed ospiti che di persona o in video hanno contribuito ricordiamo infine la testimonianza accanto al dott. Ermanno Montoli di un protagonista vero protagonista, suo malgrado, della storia: il prof. Nelson Cenci. Era il tenente Cenci, alpino reduce di Russia e medaglia d’argento al valor militare, cantato da Mario Rigoni Stern ne “Il sergente nella neve” e le sue parole, semplici e chiare, sul senso della professione medica ritrovato e rinnovato più che mai dagli orrori della guerra, sono il migliore “memento” sui suoi valori che si fanno più forti laddove l’uomo soffre.

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Pubblicato il 17 Aprile 2010
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