Lo Statuto dei Lavoratori, una pietra miliare nella battaglia per i diritti
I contenuti della normativa che quarant'anni fa rivoluzionò i rapporti di lavoro e l'attività sindacale
La Legge 20 maggio 1970, n. 300, o Statuto dei Lavoratori, si deve all’iniziativa dell’allora ministro socialista del lavoro, Giacomo Brodolini, prematuralmente scomparso prima di vederne l’attuazione, e al giuslavorista Gino Giugni, a conclusione dei lavori di una commissione appositamente incaricata di stendere il testo. Si trattava del punto d’arrivo di una serie di iniziative legislative sul lavoro che il PSI, nella sua partecipazione ai governi a guida democristiana, aveva attuato negli anni Sessanta, per venire incontro ai lavoratori dipendenti, in particoalre dell’industria, "contesi" nell’ottica della rivalità politica con il PCI di Longo. "Fu un momento eccezionale", dirà anni dopo Giugni, venuto a mancare lo scorso mese di ottobre, "forse l’unico nella storia del diritto in Italia: era la prima volta che i giuristi non si limitavano a svolgere il loro ufficio di ‘segretari del Principe’, da tecnici al servizio dell’istituzione, ma riuscivano ad operare come autentici specialisti della razionalizzazione sociale, elaborando una proposta politica del diritto". La svolta non fu necessariamente ben accolta da tutti: il fatto stesso di dare regolare ordinamento a uno strumento di lotta parve annacquarlo alle frange più radicalizzate, in un contesto di pesanti tensioni sociali e politiche che si trascinarono per un decennio. Nel giugno 1983 Giugni fu gambizzato dalle Brigate Rosse, che già allora aveva individuato nei giuslavoristi un bersaglio specifico, "i cervelli dello Stato", mediatori fra mondo del lavoro, imprese e Stato.
– La normativa
Il titolo primo, dedicato a "libertà e dignità del lavoratore", stabilisce all’art. 1 che "i lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto (…) di manifestare liberamente il proprio pensiero"; che l’impiego di guardie giurate da parte del datore di lavoro deve limitarsi alla vigilanza del patrimonio aziendale e non può riguardare i lavoratori; vieta "l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori", tranne previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o secondo le prescrizioni dell’Ispettorato per il lavoro. Si precisa inoltre che gli accertamenti sanitari sui dipendenti devono essere svolti non dal datore di lavoro, ma dagli enti previdenziali preposti; precisa le circostanze di controlli personali e sanzioni disciplinari a carico del lavoratore; si fa espresso "divieto al datore di lavoro, al fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore"; precisa che i rappresentanti dei dipendenti "hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali". Altre norme favoriscono i lavoratori studenti con appositi permessi e si precisano, aggiornando il codice civile, le mansioni del dipendente.
Il titolo secondo è dedicato alle libertà sindacali: garantisce (art. 14) che "il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro"; prende di mira gli atti discriminatori per causa di affiliazioni sindacali, politiche o religiose; fa divieto ai datori di lavoro di creare e finanziare "sindacati di comodo". Il famoso articolo 18, da anni al centro di aspre battaglie, tratta della reintegrazione sul posto di lavoro, dietro sentenza favorevole di un giudice, del dipendente ingiustamente licenziato, stabilendo un risarcimento minimo di cinque mensilità più quelle nel frattempo perdute.
Il titolo terzo prevede la possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali, il diritto ad assemblee, referendum, permessi (retribuiti e non), affissioni e uso di locali per l’attività sindacale in grandi aziende.
Il titolo quarto tratta della repressione della condotta antisindacale quando denunciata alla locale pretura; ancora di permessi e aspettative per i lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a cariche sindacali provinciali e nazionali. Quello seguente, il quinto, si occupa del collocamento e delle richieste nominative di manodopera. Il sesto, infine, all’art. 35 precisa il campo di applicazione dello Statuto, escludendone le imprese sotto i quindici dipendenti (cinque per le aziende agricole); precisa l’applicazione ai dipendenti pubblici "che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica" e le pene per chi viola gli articoli penalmente rilevanti della normativa.
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