“Noi non siamo la Grecia, grazie al manifatturiero”
Alle Ville Ponti l'assemblea annuale del Gruppo Giovani imprenditori. Alberto Parma: «Non dobbiamo limitarci ad una logica di breve periodo. È ciò che critichiamo di più alle nostre istituzioni».
Il ragazzo bacia con orgoglio la coppa, mentre esce dalla Sala Andrea delle Ville Ponti. E’ uno dei vincitori dei
"Management game", organizzati dal Gruppo giovani imprenditori dell’Unione industriali della provincia di Varese, premiati prima dell’assemblea annuale. Un prologo che ha un significato importante: prima di tutto i giovani, la nuova linfa del Paese, il segno del cambiamento. I ragazzi, però, devono sapere che quello dell’imprenditore è un “mestiere” difficile. Per farlo occorrono: forza, resistenza alle ambiguità del sistema, passione visionaria e capacità di scegliere il giusto al momento giusto mentre si è in competizione con il mondo. «Le speranze del sistema economico locale e nazionale – dice il presidente di Univa Michele Graglia – non possono che risiedere nella voglia dei giovani di affrontare le sfide e di fare squadra in questa difficile fase che stiamo vivendo. Varese ha delle ottime tradizioni che i nostri giovani imprenditori sapranno rinvigorire».
Una prima sfida, per il momento, gli industriali, l’hanno già vinta, ed è quella delle quote rosa. Sedute in prima fila, accanto ad Alberto Parma, presidente del Gruppo giovani imprenditori di Varese, ci sono Federica Guidi e Alessia Zucchi, rispettivamente presidente nazionale e regionale.
Il tema scelto dai giovani imprenditori per l’assemblea annuale riguarda le «relazioni pericolose esistenti tra costi e redditività aziendale». Parma nella suo intervento sgombra subito il campo dalla principale obiezione al tema scelto: «Ragionare su queste dinamiche, non è sinonimo di tagli, ristrutturazioni, ridimensionamento». Ciò che si chiede ai giovani imprenditori è guardare in maniera diversa ai propri bilanci. «Se questo è il momento delle priorità – spiega il presidente – il nostro primo compito è quello di risegmentare i nostri costi. Perché non ogni voce di uscita ha la stessa importanza».
Parma ha ben chiaro che là fuori c’è un sistema-paese che non aiuta ed è per questo che ai giovani imprenditori si richiede un sforzo diverso: «dobbiamo essere in grado di dar vita a nuovi modelli organizzativi capaci di aumentare la competitività, al di là dei deficit strutturali e infrastrutturali con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni». L’elenco di ciò che non funziona e frena la competizione è lungo: il costo del lavoro tra i più alti al mondo, la produttività che non cresce (negli ultimi due anni solo un + 4,4% contro il +13,5% dell’Europa a 15), gli adempimenti burocratici che pesano sui costi aziendali per oltre il 24%, gli obblighi tributari che richiedono alle aziende 334 ore di impegno, contro le 196 ore tedesche e le 132 francesi. Cosa fare di fronte a questa situazione? «Gli imprenditori – prosegue Parma – non possono permettersi di aspettare le lente risposte della politica. Alle istituzioni chiediamo una stagione di riforme, sapendo però che dobbiamo reinventare il nostro mestiere di imprenditori, per rilanciare e difendere un patrimonio produttivo di ricchezza per tutti: l’impresa». Per ottenere il cambiamento, secondo Parma, «bisogna puntare su strategie in grado di trasformare in investimento quello che oggi viene visto da alcuni come un semplice costo: le risorse umane. E ancora: ricerca e innovazione, dare maggiore valore aggiunto ai prodotti, tutti investimenti che daranno i propri frutti nel tempo. Non dobbiamo limitarci ad una logica di breve periodo. È ciò che critichiamo di più alle nostre istituzioni: una visione troppo concentrata sui risultati immediati, subito riscontrabili in termini di consenso».
Quella lanciata da Parma è una sfida «o che vinciamo tutti o che perdiamo tutti» per dirla con le parole di Federica Guidi. L’analisi del presidente nazionale dei Giovani imprenditori di Confindustria è piena di sano realismo. «Dobbiamo condividere una strategia perché c’è un cambiamento culturale in atto, c’è una mutazione genetica dell’impresa perché c’è un nuovo modo di stare sui mercati. Le nostre imprese dovranno essere sempre più internazionalizzate, sempre più orientate all’attività di ricerca e innovazione, all’investimento nei cervelli».
In questo quadro, secondo la Guidi, il manifatturiero è un patrimonio e «un punto di forza che rende il nostro un Paese più forte di altri rispetto alle attuali turbolenze globali». Come dire: se l’Italia non è come la Grecia «è grazie ad un forte sistema manifatturiero che fino a ieri veniva invece visto come un settore da abbandonare e che proprio oggi, invece, mette in evidenza la sua capacità di tenuta sociale del Paese». E così sarà anche domani. A patto però «che non si rincorra la competitività sul fronte del costo della produzione. Dobbiamo stare sulla parte alta, altissima del valore aggiunto. Dobbiamo competere su questo campo». Sapendo che «la sfida, quella vera si gioca sui mercati esteri, perché ormai di solo mercato domestico non si vive più».
Lo stesso realismo messo in campo nel suo intervento da Alessia Zucchi, presidente regionale dei Giovani imprenditori: «In Lombardia nel prossimo futuro ci si concentrerà con forza sulla sfida dell’immigrazione e dell’integrazione. Una sfida che i giovani sono chiamati ad affrontare per il futuro sociale ed economico del Paese».
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