Bocciati in italiano: “Colpa del Paese che non investe in cultura”

Il professor Gaspari, docente dell'Insubria e presidente della società degli Studi Manzoniani, giudica gli scarsi risultati delle prove di italiano dei maturandi e disegna un futuro apocalittico

Studenti bocciati in italiano. La prova di maturità ha dato l’ennesimo colpo di grazia al livello della preparazione dei ragazzi italiani. Al fianco delle commissioni di maturità, ha lavorato un gruppo di valutatori dell’INVALSI che ha corretto il tema di italiano di un campione di 545 maturandi.
I risultati sono preoccupanti: la quota delle insufficienze è del 57% mentre le eccellenze, cioè degli elaborati meritevoli di un voto elevato, rasentano il 4%.
In generale il voto medio dei liceali è poco al di sopra della soglia della sufficienza. Quello che scarseggia sono il lessico, le idee, la capacità di utilizzare il linguaggio in modo flessibile.
 
Il professor Gianmarco Gaspari, ordinario della facoltà di Scienze della Comunicazione all’Università dell’Insubria nonché presidente della Società degli Studi Manzoniani, non si dice stupito davanti all’ennesima bocciatura: « Se devo dire la verità, il mio giudizio riguardo alla preparazione dei nostri giovani è ancora più apocalittico. Anche le scuole delle nostre zone, che fino a tre o quattro anni fa, esprimevano un valore accettabile, hanno imboccato una china inarrestabile».
 
Una scuola da bocciare, dunque
« Questa è la risposta più semplicistica che viene data per nascondere un problema molto più serio e preoccupante. Oggi la scuola ha perso la sua funzione primaria che è quella di insegnare e preparare perché subissata da una serie di compiti e incarichi astrusi. Viene chiamata a riempire spazi che non le competono perché gli altri attori non esistono più, ad iniziare dalla famiglia. Le ultime riforme, a iniziare dalla “Berlinguer”, hanno trasformato la scuola: se la prima preoccupazione di un preside è quello di far quadrare i conti economici della scuola, come si può pretendere che si occupi seriamente della cultura?»
 
Certo, ci si deve concentrare sulle opportunità alternative, quelle che attirano gli alunni: le esperienze all’estero, gli stage, progetti iperbolici…
« Vedo che mi ha capito. In questa gran confusione, gli insegnanti perdono piano piano il proprio ruolo e si svuotano. E questo cambiamento investe anche il mondo universitario che si sta liceizzando anzi, secondo me, si sta professionalizzando. A cascata, il messaggio arriva agli studenti che cambiano idea sul proprio futuro. Oggi, assistiamo ad un ricambio generazionale del corpo insegnante e tra i nuovi arrivati si avverte sempre più spesso una certa rassegnazione. Il lavoro del docente viene considerato un ripiego, per chi non trova di meglio. D’altra parte, come si fa a entusiasmare i giovani con un futuro nel mondo della cultura quando questa viene sempre più impoverita e mortificata?»
 
Si riferisce all’ultima Finanziaria?
« Si. Ma questa Finanziaria è solo l’ennesimo segnale che in questo paese non si crede alla Cultura. I tagli colpiscono un settore che ha già finanziamenti da terzo mondo. Non siamo la Francia dove si investe nella cultura il 3% del Pil. In Italia, la percentuale è dello 0,3%. Allora, come si fa a sperare in risultati eclatanti quando gli investimenti sono così esigui? Sa come dice il detto: “Far le nozze con i fichi secchi”».
 
Un paese condannato, dunque
« Le avevo detto che sono apocalittico. Io non vedo una via d’uscita: la discesa è sistematica. Non si investe e, se non si investe, non si può evitare il declino»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Giugno 2010
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