Olona, dove l’acqua è lavoro
Da almeno mille anni la corrente del fiume è stata sfruttata per l'energia che poteva produrre. Dai mulini all'idroelettrico passando per l'industria
Chi rilancia le acque dell’Olona come strumento energetico, in realtà, non "scopre" nulla di nuovo: rilancia una potenzialità sempre presente. Da sempre l’uomo ha colto l’opportunità dei salti d’acqua e delle correnti per sfruttarne la forza, fosse per flottare dei tronchi – sui grandi fiumi – o per far funzionare delle macine – anche sui più piccoli torrenti, purchè perenni. L’Olona non solo non fa eccezione, ma ha alle spalle una secolare tradizione di fiume al servizio delle attività umane. Dapprima per i mulini, in seguito per le nascenti industrie moderne, infine, drammaticamente, come discarica di veleni e rifiuti, che tuttora di tanto in tanto insozzano le sue acque nonostante il vasto miglioramento apportato dai depuratori.
Fiume "asservito", l’Olona ha visto anche il suo corso cambiare fortemente nei secoli per mano dell’uomo, soprattutto nella zona di pianura tra Rho e Milano, dove fin dalla tarda antichità è stato deviato, arginato, canalizzato, depauperato di acque a beneficio di canali irrigui, infine coperto e tombinato. Per piccolo che sia, non è mai stato un fiume "facile" e le sue piene improvvise spesso hanno fatto danni (si calcolano settanta alluvioni negli ultimi quattro secoli), ancora nel passato recente nel 1995 e nel 2002. Ora, con la nuova diga di Gurone, la gran parte dei fenomeni di piena saranno governabili a monte.
La presenza di mulini lungo il fiume è testimoniata nero su bianco fin dall’anno 1043. Il mulino era allora l’emblema di una rivoluzione silenziosa: Roma antica ne conosceva il principio ma non lo aveva applicato estesamente, basandosi sulla schiavitù. Dall’epoca carolingia in avanti, il mulino diventa un fulcro economico (anche per la fiscalità feudale), protetto qua e là addirittura da fortificazioni: moltiplica la produttività, riceve la produzione granaria e la trasforma in farina, base per il pane, l’alimento di origine mediorientale sacro alla fede cristiana. Ma le terre della Valle Olona e dintorni non sono l’ideale per la coltivazione ad alte rese, e il mulino ben presto si mostra utile ad altri usi: segare legname, mettere in moto mazze per battere materiali vari (come le fibre per la fabbricazione della carta), azionare telai e forge; e ancora concerie e lavaggio tessuti beneficiano delle acque mormoranti del fiume. È l’inizio di una tradizione artigiana che diventerà industriale. Una modesta prosperità per un territorio, a cavaliere delle principali vie per il Nord, che aveva anche una centralità politica come contado del Seprio, almeno fino alla distruzione e damnatio memoriae per mano milanese di Castelseprio, Anno Domini 1287. Oggi, di tutti quei mulini che un tempo, a rischio di periodiche inondazioni, popolavano il fondovalle dai dintorni di Varese fino a Nerviano (un documento del 1608, due anni dopo la nascita dell’antichissimo Consorzio del Fiume Olona, ne contava non meno di 116), ne restano in tutto sei nella zona tra Legnano, Canegrate, San Vittore.
Fu la generazione seguente dello sviluppo basato sulla "forza che scorre", quella dell’industria, a segnare la fine del mulino sull’Olona. Al posto della ruota, venne la turbina, sempre sfruttando meccanicamente l’energia della corrente trascinata a valle dalla gravità. È due secoli fa che gradualmente si comincia a passare dall’artigianato locale ad un’industria che comincia a guardarsi intorno, in un mondo che la tecnologia rende via via più piccolo. La "finestra utile" per la Valle, per ragioni tecnologiche, sociali e geografiche, è quella fra la metà dell’Ottocento e quella del Novecento: l’epoca eroica dell’industria, impiantata in fondovalle, vicino alla fonte energetica. Sorgono cartiere, filande di cotone e seta, tintorie, sbianche, fornaci, in seguito industrie meccaniche. Oggi, è archeologia industriale, oppure spazi riusati in modo creativo e diverso dall’originale, vedi la stessa Liuc di Castellanza: dove ferveva la produzione ora c’è l’università "produttrice" di "cervelli" per le aziende.
Le vecchie ruote dei mulini dunque cedono nell’Ottocento alle turbine. E quando avanza l’energia elettrica, ben presto si scopre che questa ha una meravigliosa proprietà: la si può trasportare a distanze considerevoli. È il boom dell’idroelettrico, non quello di cui si torna a parlare oggi su scala locale, ma quello di cent’anni fa: grandi dighe su grandi montagne, o su fiumi maestosi. La miniera energetica della Lombardia diventano le Alpi, al più il Ticino (Vizzola docet), o l’Adda. L’umile Olona comincia il suo tuffo nel degrado, quando a metà Novecento il danno all’ambiente supera il guadagno della crescita economica, da lì inizierà da parte dell’industria l’abbandono del fondovalle, infido e ormai privo di senso dal punto di vista logistico. Le ruote rallentano, si fermano, scende il silenzio, si abbandonano i pochi campi superstiti, avanzano gli sterpi, l’acqua del fiume puzza e si ricopre di schiume velenose. Fino agli anni della riscoperta, del rilancio, dei depuratori e delle piste ciclabili. Ora, forse, di nuovo delle ruote che girano, spinte dalla forza senza tempo dell’acqua.
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