La Fondazione Bandera riparte dal territorio
Tre le mostre previste per l'autunno nello storico spazio espositivo di via Costa. Da settembre a gennaio saranno di scena artisti lombardi contemporanei di rilevanza nazionale
La Fondazione Bandera per l’Arte riparte dal territorio. L’idea ispiratrice di questa “ripartenza” è quella di trasformare i suoi spazi in uno dei punti cardine per gli artisti e per gli appassionati d’arte di Busto e di tutto la zona. Non solo un grande centro espositivo, quindi, ma anche un luogo eclettico e polivalente dove organizzare incontri, rassegne, presentazioni di libri, seminari e conferenze. Una sorta di agorà artistica il più possibile aperta al confronto con le istanze culturali della provincia di Varese e non solo, cercando di coinvolgere anche tutto l’Altomilanese e l’altra sponda di Ticino e Maggiore.
Per questo motivo, e anche per non lanciarsi in battaglie impossibili o inutilmente rischiose, la Fondazione con sede in via Andrea Costa ha deciso di puntare soprattutto sull’arte delle nostre terre e della nostra regione, ovviamente selezionando artisti e “scuole” di rilevanza anche nazionale, con uno speciale occhio di riguardo per il Novecento e per la contemporaneità più stringente, con l’intento di coinvolgere il maggior numero possibile di persone nella rilettura e nell’interpretazione dei nostri giorni e del nostro passato più prossimo.
Ecco perché le prossime tre mostre in programma, come quella appena conclusasi dedicata al Nuovo Futurismo (a cura di Renato Barilli), saranno tre appuntamenti schiettamente lombardi e contemporanei, in cui daremo spazio a due donne “simbolo” del nostro Novecento e a due giovanissimi interpreti del nostro XXI secolo. Nessun nome roboante, ma due ragazzi del territorio che si stanno già mettendo più che in luce in tutta Italia e poi due donne, per rendere giustizia al cosiddetto sesso debole, che in arte è ancora sicuramente bistrattato e soprattutto lo è stato fino agli scorsi decenni.
Il 25 settembre, quindi, si aprirà con una grande mostra dedicata a Elena Mezzadra, 84enne pittrice milanese (maestra anche di tutte le tecniche incisorie e attiva anche in scultura) che ha legato il proprio nome in particolare alla mitica Galleria delle Ore (Milano), divenendo uno dei nomi chiave dell’astrattismo lombardo, tanto da ricevere l’omaggio del PAC già a metà anni Novanta. La sua pittura (foto in alto), che da un punto di vista tecnico pare quasi secentesca (per la devozione alla cura delle tinte e per l’uso di infinite velature di colore) è invece assolutamente “moderna” da un punto di vista formale, secondo la lezione di artisti come Afro e Scanavino, ma soprattutto dell’espressionismo astratto americano e in particolare di Franz Kline. Il suo astrattismo non informale – perché composto di figure geometriche, solidi e piani, che si intersecano tra di loro in una quasi monocromia “accesa” da profondi tagli di luce – è in un certo senso sempre uguale a se stesso, quasi ossessivo, ma riesce a non stancare per la sua intensa carica emotiva.
Poi, a partire dal 6 novembre e in concomitanza con il grande festival fotografico che la Fondazione Bandera sta organizzando in collaborazione con il Comune di Busto Arsizio, l’Archivio Fotografico Italiano e Comunità Giovanile, sarà la volta di J&PEG, nome d’arte di Antonio Managò e Simone Zecubi (foto a destra). Due ragazzi, uno nato a Busto e l’altro a Gallarate, che usano la fotografia come prodotto finale di un processo creativo molto artigianale e complesso, che abbraccia scultura, pittura e scenografia. Le loro opere, infatti, quasi tutte in grande formato e tutte immerse in un “non luogo” fatto di nero e riflessi, sono gli scatti, poi ritoccati anche a pennello, di visionarie installazioni con cui i due ricostruiscono un mondo surreale e fantastico dove fantasia e anticonformismo indagano, senza troppe ansie, la psicologia di ognuno di noi e il nostro grado di “libertà”. Pur giovanissimi, tra le infinite collettive a cui hanno partecipato, contano già anche due personali. Una a Firenze (2008) a cura di Achille Bonito Oliva, e una lo scorso inverno, a cura di Chiara Canali, nell’ambito di (Con)temporary art, il più giovane tra gli eventi collaterali di MiArt.
Infine, a partire dall’11 dicembre, il doveroso omaggio a Enrica Turri Bonacina, scomparsa ormai cinque anni fa, nata a Somma Lombardo ma legata soprattutto a Varese e al borgo di San Fermo, dove il suo studio di pittrice è diventato luogo di incontro per appassionati d’arte e cultura.
Al contrario di Elena Mezzadra, Enrica Turri Bonacina è rimasta fedele alla pittura en plein air e a quella figurazione di stampo ottocentesco che lei ha declinato soprattutto nei modi del chiarismo, secondo la lezione del suo maestro, Gino Moro. I suoi oli e i suoi acquerelli sono diventati, così, uno dei punti fermi di quel naturalismo paesistico che subito rimanda alla più classica tradizione pittorica lombarda, fatta di paesaggi aperti, interni familiari, intime nature morte e piccole scene di vita quotidiana.
Tre mostre molto diverse tra loro, quindi, che insieme a quella già citata sul Nuovo Futurismo, collaborano a tracciare un ritratto dell’arte lombarda degli ultimi cento anni, abbracciando astrazione, figurazione e fotografia, dopo la giocosa parentesi plastica di Marco Lodola e dei suoi sodali.
Nicola Paolantonio, quarantenne avvocato di origini romane, vive e lavora “da sempre” a Busto Arsizio (con uno studio legale anche a Milano). Sposato e padre di due figli, è un appassionato conoscitore e collezionista d’arte, e da gennaio 2010 è il presidente della Fondazione Bandera per l’Arte
Matteo Tosi, bustocco, 35 anni, si è occupato di cultura per quasi un decennio, collaborando con le “terze pagine” di diverse testate nazionali e curando le pagine d’arte de “il Domenicale”. Oggi è responsabile della rivista mensile della Fondazione Biblioteca di via Senato e da qualche mese ha collabora attivamente con la Fondazione Bandera per l’Arte. E’ sposato e padre di una bambina.
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