“Non ho mai piegato la testa di fronte alla ‘ndrangheta”
Il proprietario dell'area del Pirellino Giovanni Rossetti racconta il calvario degli ultimi tre anni: dai primi contatti con una società di prestanome agli spari alle finestre di casa e alle minacce ai parenti
Giovanni Rossetti, patron delle cave omonime a Lonate Pozzolo e proprietario dell’area su cui dovrebbe sorgere il cosiddetto Pirellino, fa cadere quel velo di riservatezza che lo ha sempre contraddistinto in questi ultimi anni. Lo fa tirando un sospiro di sollievo dopo che ha ricevuto minacce, gesti intimidatori che qui al nord nessuno si sognerebbe di ricevere e dopo aver rimesso la sua vita e quella dei familiari nelle mani della Procura di Milano: «In questi giorni ho letto molte cose sui giornali in merito al discorso Pirellino e i collegamenti che sono stati fatti con la ‘ndrangheta e ritengo sia opportuno fare chiarezza per evitare fraintendimenti e false supposizioni. Ora posso raccontare cosa mi è successo ma che sia chiaro, io ho sempre agito nel rispetto delle regole e della legalità senza cedere ad alcun condizionamento – racconta – perchè mai e poi mai avrei accettato di dare l’area del Pirellino in mano alla ‘ndrangheta».
Tutto ha inizio nell’ottobre del 2007 quando l’architetto Fulvio Rivolta, che aveva redatto il progetto del grattacielo, presenta a Rossetti un possibile compratore dell’area: «Incontrai a Milano nella sede di questa società un uomo che chiamavano l’ingegnere – racconta – sembrava una persona seria e presentava garanzie di solidità per la sua società. Anche dalle visure camerali appariva un cliente con le carte in regola per rilevare l’area di Sant’Antonino e mettere in atto il progetto». Dopo quell’incontro ce ne fu un altro alla presenza del sindaco di Lonate Gelosa, l’ingnegnere e parte della giunta per discutere della fattibilità dell’operazione e per garantire all’amministrazione che si stava procedendo spediti verso la realizzazione dell’opera: «Da subito i compratori cominciarono a spingere per la firma del compromesso, con un’offerta da 200 mila euro di caparra, ma io presi tempo per fare tutte le verifiche ulteriori del caso – racconta Rossetti – poi volevo confrontarmi con mio padre che all’epoca era ancora vivo».
Qui cominciano una serie di traversie per Giovanni Rossetti e la sua famiglia, quella trattativa poteva aver indispettito qualcuno e una sera, mentre la famiglia era in casa, alcuni colpi di arma da fuoco vennero sparati contro la sua abitazione. Rossetti, seppur ignaro di chi potesse aver fatto un gesto del genere, decise di denunciare subito la cosa ai Carabinieri e così inizia a collaborare con la Procura di Milano: «Lo feci sin dall’inizio ma per esigenze di indagine ho dovuto tacere per tre anni pur non sapendo che cosa stava succedendo, inizialmente non collegai nemmeno le pressioni dell’ingegnere con quell’intimidazione». Ma quel gesto non rimase isolato e, mentre si susseguivano gli incontri con il compratore gli atti di disturbo continuarono: «Informavo continuamente i carabinieri e il pm incaricato di quello che succedeva a me e ai miei familiari, in un’altra occasione entrarono nella mia cava e disegnarono dei bersagli sulle montagnole di sabbia».
Infine avvenne che Rossetti, in uno degli incontri avvenuti presso la sede milanese del compratore si ritrova davanti Nicodemo Filippelli, accompagnato da Emanuele De Castro e il commercialista Giulio Baracchi: «Filippelli non lo conoscevo mentre gli altri due sì, in particolare il De Castro si era presentato come intermediario con l’ingegnere – racconta ancora – ma ero completamente all’oscuro di quello che c’era dietro di loro. Viviamo a Lonate e non a San Luca ma in quell’ufficio tirava un’aria pesantissima, si sentiva una tensione palpabile». A fronte delle continue resistenze del Rossetti ad un certo punto lo stesso viene a sapere che la società dell’ingegnere era in difficoltà economiche che poi lo porteranno al fallimento. I due malavitosi e il loro prestanome si ritirano dall’affare e finiscono anche le intimidazioni a Rossetti dopo quasi due anni di trattative mai concluse. La sua collaborazione con la Procura non si interrompe mai, fino agli arresti dell’operazione "Bad Boys" prima e "Il Crimine" poi che sgominano anche la locale di Legnano-Lonate Pozzolo portando all’arresto dei due protagonisti di questo tentativo di acquisto dell’area.
«Ora posso parlare e dire che quello che è successo a me e alla mia famiglia è stato terribile, abbiamo vissuto mesi di angoscia tali da richiedere una protezione per i miei familiari, ringrazio il pm Ilda Bocassini (nella foto in alto)e i carabinieri di Monza e Busto Arsizio che hanno eliminato questa malapianta che in punta di piedi stava ormai invadendo tutto anche qui». A Lonate si respira, dopo l’operazione "Crimine" un’aria da day after, una vera liberazione dai soprusi e dalla cappa di silenzio: «Ora serve una svolta vera anche tra la nostra gente perchè questo non si possa più ripetere – conclude l’imprenditore – partendo dal rispetto delle piccole regole che tengono in piedi la società civile. Qui a Lonate, probabilmente, quelle piccole regole erano saltate ed è ora di ripristinarle».
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