Una vita tra i disabili, felice di fare la volontaria
Vive in una casa OAMI per star vicino al fratello, disabile da quando aveva due anni. Una vita spesa ad assistere chi ha problemi. Senza rimpianti se non la mancanza di integrazione con la città
Da quasi sessant’anni vive accanto al fratello disabile. Una vita spesa a cercare di capire e interprerare sgardi, gesti e silenzi di Ubaldo e di altri diversamente abili incontrati durante il cammino: « I disabili hanno soltato diverse sensibilità. Sviluppano caratteristiche che a noi "normo dotati", troppo presi dalla quotidianità dei gesti "normali" sfuggono. C’è tanto da apprendere, tanto da capire…».
Margherita Piatti, classe 1940, è oggi una delle volontarie di casa Elisa, la struttura OAMI di viale Aguggiari dove vivono sette ospiti disabili: « Mio fratello si ammalò che aveva due anni. Una febbre fortissima che portò alle convulsioni. Da quel momento ebbe inizio tutto. Una cerebropatia con crisi epilettiche lo relegò in un mondo da dove non comunica più. Gli sono sempre stata accanto: prima con mia madre, poi, quando lei morì, ho cominciato a guardarmi attorno, per cercare una struttura in grado di accoglierci tutti e due. Mi parlarono di queste case OAMI. Così, andai a parlare con Don Nardi, il fondatore, che mi volle con sé assegnandomi la direzione di una sua casa a Pistoia. Ci rimasi due anni. Quello che avevo sempre fatto come volontariato, divenne una professione».
Una professione che Margherita, oggi, svolge in modo volontaristico: « Mi sono sempre data da fare con il mondo del volontariato – ricorda Margherita – A Como, dove risiedevamo, ero entrata a far parte di tante associazioni, come l’Unitalsi o la "famiglia comasca" a carattere culturale, e poi dell’Anffas e di altre ancora. Mi sono sempre data da fare. Ora, vivo in questa casa, in camera di mio fratello e collaboro come posso con il personale e la direttrice Giulia».
Non sempre è facile. Ogni ospite è una storia a sé, un carattere particolare, una patologia differente: « impari a conoscerli piano piano, a trattarli. Come dicevo prima, sono persone con una sensibilità diversa: secondo me capiscono benissimo cosa avviene attorno a loro, se sono trascurati o amati, seguiti o abbandonati a se stessi. Le esperienze vissute nella famiglia d’origine segnano profondamente il carattere di questi pazienti».
Margherita, nonostante il grosso impegno a casa Elisa, ogni tanto ritorna nella sua casa di Como o partecipa alle riunioni delle associazioni che ancora frequenta: « Nonostante sia attorniata di persone, ogni tanto mi sento sola. Qui viviamo in città e questo è un problema perchè non esiste un rapporto stretto con il territorio, non si entra a far parte integrante della comunità. Sia chiaro, qui arrivano tanti volontari, benefattori che fanno molti regali, giovani che vengono a trascorrere qualche ore con i disabili. Eppure non si sente il calore di una comunità viva e partecipe. Sarà forse perchè a Villa Elisa i pazienti sono molto problematici e questo non facilita l’integrazione. A Saltrio, per esempio, vedo più fervore attorno alla casa OAMI. Sono nei momenti normali, nella routine che si sfilaccia il tessuto. Mi sembra che Varese si stia chiudendo, stia perdendo quel carattere volontaristico che ho sempre apprezzato. Nessuno ha più voglia di ascoltare».
Una leggera malinconia si legge nei suoi occhi, forse un po’ stanchi di lottare per aiutare gli altri. Ma è questione di un attimo. Poi, Margherita riparte e va nel salotto dove sono riuniti gli ospiti. Saluta tutti. Ha una parola e un sorriso per tutti. Va da suo fratello, che è particolarmente scostante: « Oggi non gira…» spiega Margherita che ormai legge lo sguardo di Ubaldo, che ha perso l’uso della parola anni e anni fa.
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