Etica e impresa, il mondo guarda al modello italiano

Dopo gli scandali e le crisi mondiali causate dalla finanza Massimo Folador, direttore del centro studi sull'etica della Liuc, propone un modello da seguire insieme al professor Rebora. Presenti realtà cooperative

Prima ci furono gli scandali finanziari di Enron, Parmalat e altre aziende, poi venne la crisi dei mutui negli Stati Uniti e di seguito la crisi finanziaria mondiale. Sono gli ultimi dieci anni  della storia dell’economia a raccontare di risparmiatori che da un giorno all’altro sono finiti sul lastrico, di manager americani che hanno creato buchi da miliardi di dollari e di capitani d’industria improvvisatisi finanzieri internazionali gonfiando all’infinito un’affare basato sul latte. Per questo il convegno tenutosi nell’auditorium della Liuc assume un’importanza da non sottovalutare. Questo il titolo: Dall’etica all’eccellenza. la responsabilità sociale d’impresa è una scelta strategica o filantropia?

A dirigere il convegno è stato Massimo Folador, direttore del Centro studi sull’etica dell’università Liuc di Castellanza: «L’etica nell’impresa deve essere una scelta volontaria, un criterio condiviso per il bene comune». Dietro di lui una serie di slide che citano parole di San Tommaso d’Acquino e altri celebri frasi che riportano ad una dimensione umana l’impresa stessa che deve uscire dal vortice finanziario e tornare a radicarsi in un territorio per basare la propria etica su una strategia che porti a tre importanti risultati "efficacia, efficenza, eccellenza". Per Folador c’è la possibilità che la responsabilità sociale d’impresa possa entrare nel meccanismo organizzativo dell’azienda per migliorare i processi produttivi e allo stesso tempo creare un bene comune, condiviso da tutti a partire dal manager fino all’ultimo operaio in un nuovo umanesimo aziendale.

Sulla figura del manager e dello scollamento tra produzione e finanza ha parlato, invece, il professor Gianfranco Rebora, docente di organizzazione e gestione delle risorse umane. Per Rebora il punto è semplice: «La responsabilità sociale può diventare un vantaggio competitivo solo se si superano i concetti che essa è o filantropia o marketing di facciata». Secondo Rebora gli imprenditori capiscono questo messaggio mentre i manager e gli uomini della finanza no: «I primi sono a contatto continuo con i processi produttivi delle proprie aziende, si interessano di come lavorano i propri dipendenti mentre i secondi non hanno alcun contatto con la realtà che rappresentano». Questo fattore sembra essere fondamentale per Rebora che continua: «Non a caso il sistema imprenditoriale italiano sta diventando per molti economisti un modello da imitare – dice – come ha detto Vito Mancuso il leader dell’impresa deve essere costruttore di ponti tra lavoratori, impresa e mondo esterno».

Infine il convegno ha presentato modelli di business che dell’etica hanno fatto la loro bandiera. E’ il caso del consorzio sociale Goel di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria), presentato dal suo fondatore Vincenzo Linarello, che dal 2003 crea opportunità d’impresa in un luogo dove solo creando occupazione si può cambiare una realtà sociale fatta di manovalanza criminale e disoccupazione altissima. In 7 anni di attività è una delle aziende più produttive dell’area con 60 persone impiegate e un bilancio aggregato delle varie attività promosse che si aggira attorno ai 2 milioni di euro. Come questa realtà ne esistono molte altre in Italia: a Busto esiste il Consorzio Servizi Sociali che nasce nel 2004 con il desiderio di condividere il bisogno delle persone con riferimento alla dottrina della Chiesa Cattolica. Al suo interno convivono 5 realtà cooperative che cercavano di trovare stabilità utilizzando il principio di sussidiarietà.

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Pubblicato il 28 Ottobre 2010
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