Guccini e il rugby a Varese
Ospitiamo una riflessione dell'ex allenatore biancorosso, su una domenica iniziata sui campi della palla ovale e conclusa con l'appuntamento del Premio Chiara, con ospite il cantautore emiliano
Francesco Guccini è un "vecchio" cantautore italiano, giornalista e scrittore, iei sera era a Varese per parlare di sé, della sua vita, del suo modo di raccontare e di raccontarsi. Ha ammesso, lui, che cantava inni alla libertà, che credeva nel sogno di cambiare il modo con la musica, che ha molta nostalgia per le cose del passato, per la salsiccia sott’olio fatta in casa, che ora si può produrre solo a livello industriale… Nel suo modo di raccontare c’è la semplicità dei gesti, l’ironia e la passione.
Ho visto due partite di rugby nel pomeriggio pre-gucciniano e lì non ho visto nostalgia, non ho visto la capacità di raccontare un gioco e attraverso quello, raccogliere e trasmettere emozioni. Il rugby di oggi è figlio del computer e del fatto che basta digitare ciò di cui si ha bisogno e si crede sia possibile applicarlo: "lavoro sul sostegno", attendere prego, video da ogni continente, commenti, spiegazioni. Il buon allenatore prende appunti li porta al campo, i soldatini rugbisti si stupiscono e compiacciono di fare le stesse cose dell’Australia o dell’Inghilterra e vincono anche la partita della domenica.
Tutto torna, tutto perfetto. Terzo tempo e martedì di nuovo al campo.
Guccini legge un libro a settimana, risponde sicuro su ogni argomento, non ha la patente e ha perso un sacco di canzoni perché la sua memoria e il suo disordine non sono quelli del computer. È una persona viva, che vive e tiene in vita la passione che c’è in lui, per tutto ciò che fa. Se continuiamo ad applicare al rugby solo tecnologie, dimenticandoci che esistono anche penne e martelli, non avremo dal campo che risposte come quelle di domenica. Io sono dell’idea che nei livelli più bassi del rugby si debba e si possa osare, si possa lavorare in maniera tranquilla sul come si vuole vincere e non sul perché lo si debba fare. Non ci sono vincoli economici, non ci sono pressioni di classifica, perché non provarci?
La realtà è che il livello più basso del rugby mondiale non apprende nulla dal livello più alto, ripete solo come farebbe un pappagallo, senza pensiero, proponendo agiti. Questo rugby non porta a mio parere da nessuna parte e la vittoria è solo il coronamento degli obiettivi personali all’interno del club. Io voglio andare contro il computer, mezzo fantastico, affascinante e utile, mi piacerebbe provare l’emozione di un racconto di vita, come quando Guccini parla di nottate a parlare di ottave con Begnini, di giornate a chiacchierare con Enzo Biagi e di Ligabue che spesso lo passa a trovare, nomi talmente famosi che però nei suoi racconti suonano come quelli dello sconosciuto Celestino produttore di chitarre o dell’anonima Zia di Carpi che comprava il pane tutti i giorni tra lo stupore del nipote.
Il rugby come una canzone che arriva dritta in te e ti lascia la voglia di riascoltarla: questo mi aspetto oggi da una partita, senza paura di essere nostalgici, se per nostalgia s’intende la riscoperta nel proprio cuore di qualcosa che non si deve perdere…
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