I formaggi di Aristeo a Torino: “Ci serve più cultura del cibo”
L’azienda di Paolo Satta è l’unica rappresentante della provincia al Salone del Gusto insieme al Birrificio Orso Verde di Busto Arsizio. «Necessario fare scelte di alta qualità»
Tra i tanti record e premi collezionati nei suoi primi sei anni di attività come titolare dell’azienda Aristeo di Rancio Valcuvia, produttrice di formaggi di latte caprino, ce n’è uno di cui sicuramente Paolo Satta non è troppo contento: il suo status di unico rappresentante della provincia di Varese all’edizione 2010 del Salone del Gusto di Torino. Quasi unico, a dire il vero, perché pochi stand più in là c’era anche il benemerito Birrificio Orso Verde di Busto Arsizio, una realtà di grande successo ma certamente poco rappresentativa della gastronomia del territorio.
Come spiegare questa débacle, del resto tutt’altro che sorprendente viste le premesse? «La provincia di Varese è forse l’ultima in Italia dal punto di vista del patrimonio enogastronomico – ammette Satta – ma nonostante questo avrebbe tantissimo da fare e da dire. È un problema di consapevolezza: non ci crediamo, ci limitiamo a soddisfazioni locali. Basti pensare alla formaggella del Luinese, che potrebbe essere un formaggio molto importante ma di fatto non può uscire dal territorio per la scarsissima quantità della produzione. Ci manca la materia prima, ma ci manca soprattutto la capacità di fare delle scelte: oggi l’agricoltura è in crisi, se non si ha un’azienda di grandissime dimensioni bisogna puntare tutto sulla qualità, lo dimostrano il Salone del Gusto e l’affollamento dei nostri stand. Basterebbe poco, un po’di coraggio e di determinazione per creare un interesse intorno ai nostri prodotti che peraltro sarebbe più che giustificato». E che potrebbe anche cambiare l’immagine e l’appeal della provincia, come spiega Satta partendo da lontano: «Oggi stiamo perdendo la coscienza del cibo e della sua qualità, soppiantata da interessi molto più effimeri. Il potere di spesa del singolo si sta spostando su altri bisogni e al cibo è rimasta quasi solo una funzione di nutrimento. Secondo me in questo stiamo facendo un gravissimo errore, perché in Italia abbiamo un patrimonio culturale del cibo che non è secondo a nessuno al mondo, neppure alla Francia. Bisogna riprendere la consapevolezza che mangiare bene non è solo una questione di salute, e già avrei detto tanto, ma anche di stile di vita, di benessere in senso lato. Se si capisse questo, credo che anche nei ristoranti di Varese vedremmo tranquillamente comparire o ricomparire i nostri prodotti, e questo sarebbe un bel volano dal punto di vista turistico ed economico. Un po’ come accade in molte altre regioni d’Italia dovremmo diffondere le nostre specialità in tutte le tipologie di locali, creando un interesse comune e stimolando l’orgoglio del territorio. Bisogna attirare il visitatore mostrandogli cosa siamo capaci di fare. È un tesoro che dobbiamo sfruttare».
Il problema, semmai, è la quantità: «Purtroppo in provincia di Varese non abbiamo abbastanza latte per realizzare la produzione che meriterebbero sia il territorio, sia le persone che desidererebbero questi formaggi. Questo limite ci costringe a perdere delle grandi occasioni».
– Dal sito: www.locuste.org –
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