“Lascio l’Italia per Nizza, qui non ho futuro”

Giovanna Tissoni è una ricercatrice dell'Insubria. Studia "fisica dei laser" e altri temi all'avanguardia in campo scientifico, un talento del nostro territorio in fuga verso la Francia

ricercatrice lascia l'italia per la francia«Diventare un ricercatore universitario non era il mio sogno di bambina. È tutto nato per caso, durante la tesi di laurea. In quel momento ho scoperto la passione dell’approfondire le cose, del fare ricerca. E ho deciso che avrei continuato per quella strada». Quella strada però, nel nostro paese, è diventata una delle più tortuose da affrontare. Non a caso sono in molti a decidere, a metà, di abbandonarla e sceglierne un’altra per arrivare alla meta. Come Giovanna Tissoni, ricercatrice alla sede comasca dell’Insubria che presto concluderà il suo lavoro in Italia per proseguirlo all’Università di Nizza. Il percorso che intrapreso finora è tipico: «Mi sono laureata in fisica e poi ho fatto un dottorato all’Università di Milano. Ho ottenuto un contratto prima come ricercatore Cnr per la durata di 4 anni, poi come ricercatore universitario. Alla facoltà di scienze di Como sono rimasta per dieci anni. Ora guardo al futuro e non vedo più possibilità di crescita». La facoltà dove lavora la dottoressa Tissoni, lei stesso lo conferma, è ricca di talenti. Lei ad esempio si occupa di fisica dei laser nell’ambito dell’ottica quantistica. Argomenti all’avanguardia in campo scientifico. Ma non è l’unica, solo alcuni mesi fa un collega, il professor Daniele Faccio ha ottenuto l’attenzione della stampa internazionale grazie alla sua sensazionale dimostrazione della teoria dei buchi neri di Hawking. Tuttavia anche Faccio in Italia non ci resterà, al lago di Como lo scienziato ha preferito quelli scozzesi.

Ma cosa spinge una persona a cercare nuove opportunità, a lasciare tutto pur sapendo di avere molto da dare al proprio paese?
«Non è solo una questione economica, vorrei dirlo subito – racconta la ricercatrice comasca -. In Francia rivestirò per il momento la stessa posizione e non mi aspetto differenze enormi in termini di stipendio. Il punto centrale è il futuro. Con tutta la buona volontà in Italia non potrei aspirare a niente nei prossimi anni. A Nizza sul lungo termine mi aspetto la possibilità di fare carriera, lì inoltre il precariato inoltre si riduce molto. Per quanto riguarda il fatto di abbandonare l’Italia devo dire che ho avuto anche delle motivazioni personali per farlo quindi diciamo che è stata una scelta data da più ragioni. Di certo il panorama futuro della ricerca in Italia non è incoraggiante».

Cosa ne pensa della riforma Gelmini e come ha vissuto la protesta dei ricercatori negli ultimi mesi?
«Bisogna premettere che la carriera universitaria non è semplice ed è giusto che sia così. Deve essere selettiva ma questo non deve significare impossibile. Io mi sento un investimento per il mio paese costruito a poco a poco, nel tempo. Eppure questo non è percepito. Manca il minimo della programmazione verso il futuro. Le norme che regolano l’università e quelle che si prospettano impediscono di fare strategia. I blocchi delle assunzioni, del turnover, i tagli ai fondi per la ricerca sono tutti limiti che compromettono il nostro domani. Agli atenei mancano i soldi per lavorare, per fare ricerca, per avere collaboratori».

È naturale però che un ricercatore faccia delle esperienze all’estero, fa parte della sua formazione.
«Certo. Ma questo non deve essere una fuga. A provarlo è il fatto che il nostro sistema non è attraente. Impedisce infatti l’accesso ai cervelli stranieri. Sì è naturale che chi fa ricerca si sposti ma nessuno verrà dall’estero a prendere il mio posto quando me ne andrò».

La sua facoltà ha delle grandi potenzialità, di conseguenza dovrebbe essere vista come un fattore strategico anche per il territorio. È così?
«È un’eccellenza con persone davvero competenti. Il fatto che in molti se ne vadano però deve fare riflettere in modo più ampio: la situazione dell’Insubria è particolare perché è un ateneo piccolo e la riforma Gelmini sembra intenzionata a tagliare proprio nelle università a dimensione ridotta. Spero che la facoltà di scienze di Como possa continuare la sua attività perché è piena di persone che lo meritano».

Anche lei ha protestato?
«Sì, insieme ai colleghi in quanto condivido i modi e i mezzi della protesta. Ci siamo limitati a fare quanto previsto nei nostri contratti. Abbiamo dichiarato la nostra indisponibilità alla didattica. È stata la prima vera protesta della nostra università tanto che a luglio quando il malcontento è stato esteriorizzato alcuni presidi e docenti ci hanno sottovalutato. Oggi invece anche i professori associati si sono sbilanciati e in molti si sono aggregati alla protesta».

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Pubblicato il 28 Ottobre 2010
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