Chimica e modernizzazione in Italia: la parabola di un paese vista dalla provetta

Questo il tema della 10a Giornata del Cinema Industriale tenutasi oggi in Liuc. Il 2011 sarà Anno Internazionale della Chimica. Un settore fondamentale nella crescita del paese da agricolo ad industriale

La chimica: un settore imprescindibile, fondamentale e portante, che ha "fatto" il Novecento e la civiltà industriale moderna come quasi nessun altro. Si pensi solo all’importanza di petrolio e derivato, o della plastica. A questo ambito del lavoro – il 2011 sarà Anno Internazionale della Chimica –  era dedicato il 10° incontro delle Giornate del Cinema Industriale presso la l’Università Cattaneo-Liuc di Castellanza, che aveva per tema "Fabbricato dall’uomo. Chimica e modernizzazione in Italia". Fra i relatori anche il presidente di Liuc, Paolo Lamberti, esponente di una vera dinastia del settore, che è anche vicepresidente di Federchimica.

Dopo il saluto introduttivo del rettore Andrea Taroni sfilavano inframmezzate a ricostruzioni e analisi sulla storia della chimica le immagini raccolte dall’Archivio del Cinema Industriale e della Comunicazione d’impresa, che ha sede presso l’ateneo castellanzese e orgainzza l’appuntamento annuale delle Giornate. Cartoni animati a colori vivaci, o documentari in bianco nero di buon pregio cinematografico, che narravano l’avventura della chimica, o ne esaltavano l’importanza; ora "disegnando" un mondo improvvisamente privato dei frutti di questa scienza (come in un cartoon francese di pochi anni fa) oppure descrivendo in tono didattico il percorso che "da sette canne fa un vestito" attraverso la filiera delle fibre sintetiche ricavate dalla cellulosa. Parlavamo di pregio cinematografico, infatti il regista del documentario, datato 1949, era "un certo" Michelangelo Antonioni, che con sguardo verista indagava i progressi dell’industria in un’Italia risorgente dalle macerie.

Ad esporre i temi della giornata erano Edoardo Borruso, dell’Università Bocconi di Milano, il direttore dell’Archivio del cinema industriale, Anna Falchero, che esponeva il fruttuoso connubio tra fibre artificiali (o man-made fibers come dicono gli anglosassoni) e moda In Italia; Raimonda Riccini dell’università IUAV di Venezia che si soffermava sul ruolo dominante della plastica negli oggetti d’uso quotidiano dell’ultimo mezzo secolo. In chiusura, l’intervento di Lamberti.
Nell’intervento di Falchero si coglieva l’evoluzione di tutto un settore, quello appunto delle fibre man-made, che dopo inizi difficoltosi ebbe un primo decollo dagli anni Venti, con la seta artificiale o rayon, e giunse ad "esplodere" negli anni Cinquanta invadendo il mondo di prodotti del tutto nuovi, in quantità notevolissime e a costi competitivi. In quello di Borruso la storia della chimica, che nata nel Sei-Settecento per impulso di singoli scienziati di genio, che in piena epoca di razionalismo e Lumi imperanti la distaccarono dalle suggestioni alchemiche del passato, ha avuto la sua consacrazione con la Rivoluzione Industriale. E dove, se non dal tessile poteva partire la storia della relazione fra industria e chimica, fra produzione e conoscenza scientifica, fra affari e ricerca? La "prima ondata", spiegava Borruso, fu qulla legata a sbiancanti e tinture da adattare alla fortissima produzione di tessuti permesa dai nuovi macchinari meccanici e a vapore, che dall’Inghilterra si espandeva in Europa. Sarebbe venuta poi verso fine secolo la chimica organica, con i sanguinosi trionfi della Grande Guerra che portarono al culmine la scienza degli esplosivi, e, orrore, i gas tossici, ma anche molte produzioni di pace; la petrolchimica, giunta a piena fioritura con il miracolo economico del secondo dopoguerra, anche in Italia; infine l’ultima "ondata", quella legata alle biotecnologie.
«L’Italia parte in ritardo nell’industrializzazione, ma nella chimica c’è un ritardo nel ritardo», in parte colmato dai primi benemeriti, fra cui i farmaceutici come Calo Erba. Poi sarà il monopolio di Montecatini, nata nel settore minerario; dopo la seconda guerra mondiale, l’avventura di Eni, poi quella di parallela di Montedison (ben conosciuta a Castellanza, vedi foto in alto ndr) che raccoglie l’eredità della Montecatini, nel grande momento della chimica di base italiana, che con Giulio Natta e il suo Moplen vince addirittura il Nobel; infine, vent’anni fa, Enimont, fusione «che non decollerà mai e mieterà vittime sul piano umano e giudiziario». Questa la parabola di un Paese rimasto largamente agricolo fino alla metà del secolo scorso, e che quindi per decenni produsse più che altro concimi azotati e acido solforico, per le necessità di base, prima di affermarsi tra i giganti della chimica mondiale in quella vera "finestra di opportunità" che furono gli anni Cinquanta e Sessanta. Fino a cercare anche nelle ultime novità della scienza la chiave dell’eleganza, oltre che della prosperità.

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Pubblicato il 18 Novembre 2010
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