Lamberti: “Questa è l’era della specializzazione”

Paolo Lamberti, presidente dell'Unviersià Cattaneo e vicepresidente di Federchimica, guida l'azienda di famiglia (terza generazione) che compirà 100 anni nel 2011. "Questa è l'era della specializzazione"

"Lamberti" è un cognome che alle nostre latitudini è sinonimo di chimica. E nella Giornata del Cinema Industriale dedicata presso la Liuc proprio a questo settore non poteva mancare il presidente dell’ateneo, Paolo Lamberti, terza generazione alla guida dell’azienda nata nel 1911, oggi vicepresidente di Federchimica. A lui abbiamo chiesto una sorta di fotografia dello stato dell’arte e dell’evoluzione di un settore in trasformazione – anzi, che ha nella trasformazione degli elementi e della materia la sua stessa ragion d’essere.
«L’azienda fu fondata a Codogno, nel Lodigiano, ma già pochi anni dopo la Grande Guerra vi fu il trasferimento qui nel Varesotto. Allora la specializzazione era nel servizio dell’industria tessile, e il nonno aveva ben colto che questa era una zona di ‘distretto’». Oggi, a quasi novant’anni da quel trasferimento, c’è l’imponente stabilimento di Albizzate, a dominio dell’Autolaghi come un singolare castello dell’industria, con i suoi tubi e i suoi vapori. Ma se l’immagine è quella della chimica classica, i prodotti sono ormai da fantascienza, per gli standard d’un tempo. «Per far ‘prendere’ delle resine si usavano solventi che vanno poi fatti evaporare col calore, emettendo fumi nocivi e consumando una gran quantità d’energia. Noi ora produciamo un fotocatalizzatore, una sostanza utile a produttori di supporti lignei per mobili, ma anche di schermi piatti e circuiti stampati, che con una semplice passata di pochi secondi sotto la luce ultravioletta ottiene il medesimo risultato». Senza emissioni nocive e senza impiego di grandi quantità di energia e calore. Questo è il balzo in avanti della chimica sul piano della ricerca: c’è poi quello del mutamento organizzativo, dalle grandi aziende "tuttofare" alla specializzazione di settore.
«L’Italia è stata protagonista della chimica di base dal dopoguerra fino all’epoca degli shock petroliferi anni Settanta» riasume Lamberti. «Questi, prima, la globalizzazione poi con l’apertura dei mercati hanno molto ridimensionato questo quadro. Si trattava di grandissime aziende molto diversificate; a fronte della quasi certezza dell’annuncio che venne fatto della ‘morte della chimica’ in Italia, si è avuta una trasformazione, sono nate o come noi hanno continuato a esistere aziende molto più piccole, vocate però alla specializzazione, tanto merceologica quanto di servizi». Lo scenario è cambiato molto, ma in Italia resta della qualità vera, apprezzata nel mondo: «Abbiamo dei leader global ad esempio nel PET, ed eccellenza riconoscute nella produzione per l’edilizia, si pensi a una Mapei. Per l’Italia sono ancora grandi imprese, a livello mondiale sarebbero medie, ma hanno filiali in moltissimi Paesi». La Lamberti rientra in questa storia comune di un settore produttivo, «e cerca di entrare nel novero di queste aziende» il cui lavoro è coronato dall’apprezzamento di una clientela non solo rinchiusa negli angusti confini nazionali. «La chimica aiuta anche le imprese "a valle" del suo lavoro» osserva Paolo Lamberti. «Quando mi si chiede "cosa producete?", rispondo che facciamo quei prodotti che sono in grado di dare al cliente un aumento della performance nei processi produttivi».

Se una volta ci si sforzava di fare di tutto un po’, magari su un mercato nazionale "blindato", oggi è fondamentale coprire un settore specifico, opernando su scala internazionale. «Oggi l’innovazione è di processo come di prodotto, la ricerca, che occupa dal 4 al 6% dei fatturati in media, è molto più applicata che "di base". Cadute le rendite di posizione negli anni Ottanta e Novanta, ci si è trovati un po’ orfani della grande chimica, in un contesto diverso, molto più competitivo ed aperto». Al tempo stesso, più difficile: «ci sono i vincoli sul controllo dei prodotti chimici (quanto a produzione, effetti, nocività ambientale ecc.) e la battaglia dei brevetti, che ormai riguardano le più minute applicazioni perchè ognuno cerca di ripagare i costi della ricerca, i tempi stretti che ti fanno durare un prodotto "in scaffale", invece che molti anni, a volte addirittura pochi mesi». Tanto che bisogna sapersi muovere, e il chimico deve saper diventare un po’ manager e un po’ avvocato, districarsi fra i brevetti propri e altrui, il mercato, le regole stringenti nate dalle sensibilità ambientali, sindacali e dei consumatori.
È un settore che dà ancora interessanti sbocchi lavorativi: la chimica ha in media il 26% di laureati fra i propri neoassunti, contro il 9% della media dell’industria. Ha un passato importante, un presente forse meno "visibile" di una volta, un futuro davanti, probabilmente con grandi cambiamenti dietro l’angolo.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 18 Novembre 2010
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