San Martino, la montagna di chi disse no
Si ricordava oggi il fatto d'armi dell'autunno 1943, quando il gruppo Cinque Giornate del colonnello Croce fu sopraffatto dopo dura resistenza dai nazisti
Si ricordava oggi con le cerimonie ufficiali a Rancio Valcuvia la battaglia del San Martino, episodio drammatico e glorioso della Resistenza risalente all’autunno del 1943. Alzabandiera, messa, onoranze ai caduti e consegna di targhe ricordo e medaglie d’onore a deportati e reduci, con il saluto del sindaco Claudio Ciceri, del Presidente della Provincia di Varese, Dario Galli, del Presidente della comunità montama Valli del Verbano, Marco Magrini; con i bambini e i loro "baby-sindaci", perchè imparino ciò che è stato e ne possano provare un giorno orgoglio; con il professor Carlo Lacaita, già ordinario di Storia Contemporanea alla Statale di Milano, a dipingere il quadro di un’epoca cupa di lotte feroci.
Episodio militare, in senso proprio, come ufficiale regolare era il colonnello Carlo Croce, medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Questi, dopo la resa ignominiosa dell’esercito l’8 settembre di fronte all’aggressione degli ex alleati tedeschi, aveva detto no insieme a quanti si erano mostrati disposti a seguirlo e si era arroccato sulle montagne prospicienti la Valcuvia, profittando dei vecchi lavori difensivi fatti eseguire dal generalissimo Cadorna durante la guerra precedente, quando si era temuta un’invasione tedesca attraverso la Svizzera.
I tedeschi attesero di essersi ben attestati e di avere il pieno controllo della situazione e la piena cooperazione delle autorità della Repubblica fantoccio di Salò, ultimo sussulto del fascismo di regime, prima di attaccare il nucleo del colonnello Croce. Laddove i "ribelli", i "badogliani", o Gruppo Militare Cinque Giornate Monte di San Martino di Vallalta-Varese come si erano voluti chiamare, si erano astenuti dall’attirare rappresaglie su una popolazione impaurita e che desiderava più di tutto la pace, non si esitò da parte tedesca a ricorrere al rastrellamento in massa dei civili e al bombardamento in picchiata con i terribili Stukas, quando il 15 novembre 1943 circa tremila uomini, con una superiorità di dieci a uno e più, partirono all’attacco. La resistenza fu aspra, e in qualche caso coronata da successo, ma ebbe il torto di aggrapparsi al terreno, manovra rischiosa per una forza guerrigliera isolata in mezzo alla marea nemica. Alla fine il colonnello Croce, ferito, con i sopravvissuti riuscì a sgusciare fra le linee nazifasciste verso la Svizzera. Tragicamente, si guadagnerà in seguito la medaglia d’oro alla memoria, quando, tornato in patria in Valtellina, e di nuovo ferito, sarà catturato e torturato dalle SS nell’estate del 1944, fino a morirne.
Un momento alto, dunque, quello del San Martino, di quella "Resistenza tricolore" su cui oggi si pone particolarmente l’accento: forse perchè non è più di moda ricordare che vi fu una Resistenza più politica, non meno importante, che non si nutriva di patriottismo, ma voleva una società diversa. Una società e un Paese che non cedessero più alle sirene del populismo, che non si facessero abbindolare da soluzioni promesse dall’alto, che non imbavagliassero le voci critiche, che non mandassero più i figli migliori a morire in terre lontane per stupida ambizione di potere. Era la Resistenza di comunisti, azionisti, socialisti, di vari gruppi cattolici, divisi politicamente, uniti per sempre nella Costituzione repubblicana del 1948, il lascito migliore della lotta di liberazione e della stagione del "ciellenismo". Era però ancora di là da venire la loro grande stagione quando i partigiani "con le stellette", allora semplicemente "i ribelli", rifiutando di cedere le armi che già imbracciavano da soldati, diedero il la con azioni esemplari come quella del San Martino, o con il terribile martirio di Cefalonia.
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