Eppur si muove: la Busto degli anni Duemila

Un decennio intenso quello trascorso, che senza rivoluzionare la città, ha messo in luce cambiamenti e problemi perduranti, luci e ombre: dall'economia all'amministrazione, dallo sport all'ambiente

Con la giornata di domani a Busto Arsizio si chiude domani un decennio, il primo del Duemila, per il nostro calendario. Dieci anni intensi, come sempre, che per la città hanno comportato cambiamenti, ma nulla di epocale. Territorio, infrastrutture, politica e amministrazione: "eppur si muove", viene da dire. Senza alcuna pretesa di completezza, e affastellando riflessioni, proviamo a toccare alcuni temi e a valutare cosa ci ha portato il decennio.

-Infrastrutture e territorio
Qualche espansione edilizia in più, la parabola di MalpensaFiere da nuova opportunità per il territorio a punto di domanda per il futuro, il graduale ampliamento delle presenze a Sacconago in zona industriale, tuttora in assenza di servizi e collegamenti adeguati, un nuovo centro intermodale (ancora inutilizzato) sulle Nord, con la crescita di quello di Hupac verso Gallarate; l’inserimento progressivo della città di una rete infrastrutturale futura di cui si trova al centro. A questo proposito, l’avvenuta realizzazione del raccordo X tra Fs e Ferrovie Nord; quello della nuova stazione di Castellanza (che sorge sul territorio bustese) legata all’omonimo tunnel – mentre il decennio ha visto proteste sempre più vive dai pendolari, fattisi giustamente esigenti; l’attesa di un terzo binario, almeno, che potenzi la linea Rho-Gallarate, quella del Sempione, ed è tuttora di là da venire. Sul lato stradale, non c’è molto: alcune rotonde, quali riuscite e quali meno, che hanno in parte ridisegnato la mobilità cittadina (piazzale Crespi, piazzale Kennedy); aggiustamenti per lo più cosmetici per l’ingresso del’Autolaghi – ampliato, ma sempre pericoloso e intasato – e la superstrada 336.

– "Area vasta", non ci siamo ancora
Intorno alla città, nel decennio è cresciuto l’abbraccio soffocante dei centri commerciali e dei supermercati, già evidente dieci anni fa soprattutto verso Gallarate. Ormai tutte le vie d’uscita dalla città, eccetto quella verso Dairago, ne sono costellate, con relativi effetti su traffico e mobilità. Conseguenza di una scelta politica mantenuta per tutto il decennio: niente grande distribuzione, a tutela del commercio locale. Immagine evidente di una politica che o sa declinarsi a livello di un territorio più ampio, o resta alle intenzioni. L’"area vasta" è realtà nel concreto: lo è meno il ruolo di Busto "capitale". Busto è sì capitale nel lavoro, dove la città è e resta attrattiva, nonostante la crisi: prova ne sia la popolazione che aumenta (a fine giugno 2010, 81.900: Varese superata, non accadeva dagli anni Trenta), per due terzi grazie al ruolo dell’immigrazione straniera; ma non lo è nella politica, che vede nella nostra città una voce ancora fievole rispetto a quanto meriterebbe per la sua rilevanza economica e sociale. Una città che ha perso un decennio fa l’ultimo treno per la Provincia, e cerca ora, al più, di far aggiungere il suo nome a quella (di Varese) in cui fu costretta nel 1927 per volontà del Duce di turno.

– Lavoro, tra crisi e "sindrome cinese"
Nel lavoro e nell’economia, Busto ha conosciuto negli anni Duemila tutte le difficoltà di adattamento di una città che è stata grandissima all’apice della rivoluzione industriale novecentesca, per gran parte del secolo, e si è trovata colpita nel settore più caro, da decenni in lento declino relativo: il tessile. La "sindrome cinese" ha colpito in tutto il territorio: la globalizzazione dei mercati ha fatto affluire merci di produzione orientale a prezzi stracciati. In questo quadro già di sofferenza si è aggiunta la grande crisi globale, che comunemente si imputa alla finanza "malata", ma è in realtà crisi economica di sistema. In città l’industria nel complesso ha retto, c’è volontà di andare avanti, anche se le storie di aziende chiuse non mancano. La politica ha dato risposte per quanto poteva, come il tentativo per la legge Reguzzoni-Versace; resta da vedere se ciò avrà riflessi concreti. La forza del lavoro bustocco riposa nella capacità di adattamento e innovazione. Le nostalgie della Busto di Enrico Dell’Acqua, morto cent’anni fa, la dicono lunga su quanto si patisca un quadro non più così favorevole.

– Politica e amministrazione
Nella continuata e tranquilla supremazia del centrodestra, agitata solo da baruffe interne – sindaci disarcionati in corsa dal loro stesso partito, altri che si dimettono e ci ripensano – nemmeno l’ultima tempesta nazionale, quella mossa da Fini, ha agitato alcunché. Chi era uscito, sta già rientrando.
Ulteriore espansione hanno avuto le attività del gruppo Agesp, moltiplicatosi e fattosi protagonista del decennio: dal fronte dello sport, con il restyling del palazzetto di via Gabardi, al teleriscaldamento avviato da Agesp Energia, fino al gran numero di mansioni affidate ad Agesp Servizi, ormai "Comune bis" che fa di tutto e di più. A fronte di ciò, un Comune che è apparso in grado di fare, materialmente, sempre meno opere, causa i vincoli di bilancio, e che ha lottato con problemi interni derivanti da scelte fatte all’inizio del decennio (le due vicende degli stipendi d’oro ai dirigenti e delle promozioni irregolari del personale).
In città gli effetti di decisioni e mancate decisioni del decennio si vedono. Non si può tacere il perdurante scempio dell’area ex ferrovie Nord tuttora abbandonata a sè stessa. La viabilità, con la tardiva adozione di un Piano urbano del traffico, non è sostanzialmente mutata, rotonde a parte: sono spuntati altri parcheggi a pagamento, in compenso. Lo sviluppo più importante in centro appare l’avvio del recupero della zona di piazza Vittorio Emanuele II-via Solferino, oggetto di battaglia politica. Evidente, per contro, il perdurante degrado di zone adiacenti del vecchio rione San Michele, su cui ancora non c’è intervento. Per il resto si conferma la vitalità di un centro accogliente, con l’impegno dei commercianti; si registra la comparsa degli "ottovolanti", le passerelle dei Cinque Ponti, zona rivoluzionata ma sempre labirinto viabilistico; abbiamo un nuovo stadio di atletica a Sacconago, apprezzabile ma forse fuori contesto. C’è il positivo sviluppo di realtà recuperate come i Molini Marzoli o l’ex Cotonificio Bustese divenuto Museo del Tessile. Entrambi poli affermato per convegni e incontri, il primo sede di un dipartimento dell’Università dell’Insubria impegnato in ricerche sulle neuroscienze e la biologia, e di recente anche della Polizia locale; il secondo a sua volta testimonianza storica dell’industria del passato, e dotato di un parco vera risorsa verde del centro città.

– Ambiente
Sull’ambiente, passi avanti e passi indietro. L’abitato si espande ancora, un’edilizia "che dopo ‘l pasto ha più fame che pria", come la lupa di Dante, aggredisce anche gli ultimi terreni disponibili, le gru non si sono fermate del tutto nemmeno nel pieno della crisi. Come una bicicletta, il settore deve andare avanti per stare in piedi. Nell’ultimo decennio dallo Stato arrivano al Comune sempre meno soldi, a fronte di necessità finanziarie sempre maggiori. Si rimedia con gli oneri di urbanizzazione, a Busto come in altri ottomila Comuni d’Italia. L’amministrazione peraltro rigetta l’idea di assumere ruoli regolatori o "dirigisti" sulle scelte dei privati. Busto ha 81mila abitanti, ma potrebbe ospitarne molti di più: mentre si ripete che di alloggi vuoti o invenduti ve ne sarebbero persino alcune migliaia. Al nuovo Piano di Governo del Territorio tutelare il residuo territorio agricolo, se ve ne sarà la volontà.
Sul fronte del verde urbano, luci e ombre. Con il parco dedicato a Este Milani si è aperto un nuovo spazio verde di qualità, fiore all’occhello del rione Frati. Attenzione è stata data anche ad altri spazi verdi grandi e piccoli, a Sacconago, a Borsano. Negli anni è apparso però chiaro l’affanno nel gestire il verde urbano, e l’episodio degli abbattimenti di alberate più o meno malate (via Marco Polo, via Valle Olona, viale Borri) negli anni scorsi non è stato preso bene da tutti. Il Parco Alto Milanese, resta una risorsa, solo parzialmente bustocca, ma importante in un territorio troppo urbanizzato.
Al limite della città, poi, il problema Accam: un inceneritore di rifiuti che Busto si accolla da decenni, unica traccia residua dei suoi sogni di provincia di quarant’anni fa. Il fumo, non certo aria di montagna, dei suoi camini, dà preoccupazione, a quanto pare, ai soli borsanesi. La società è attesa a grossi e costosi interventi (revamping) per ammodernare e rendee meno inquinante un impianto che vivrà almeno fino al 2025. Questo in una città e una zona note per la cattiva qualità dell’aria; ci si affida, col tempo, alla diffusione di veicoli ibridi e alle sostituzioni delle caldaie, mentre avanza silenziosa l’energia nuova dei panelli solari.

– Sport
Non di solo lavoro si vive a Busto: c’è lo sport. Settore che ha visto l’impetuosa ascesa delle ragazze della Futura Volley, prima con sponsor DiMeglio, poi con Inticom-Yamamay che l’ha portata alla massima serie e a derby all’ultima schiacciata con le cugine della vicinissima Villa Cortese a marchio Carnaghi, creando una nuova inedita rivalità per la serie A1 femminile. C’è il calcio, con le vicende della Pro Patria, passata dalla (rimpianta) tranquillità della gestione Vender ad annate da panico che l’hanno portata al fallimento, a un passo dalla serie B, prima, alla retrocessione e al rischio di sparire dal calcio, oggi. Immutato, anzi crescente, l’affetto dei tifosi.

– Un tessuto sociale forte
Infine, non si può non dire una parola su una presenza discreta e costante della società bustocca: l’associazionismo, formalizzato e non. Se c’è una vera forza che al di là del tempo tiene insieme le generazioni, gli interessi, le culture, è questa. Che si tratti di assistere i disabili gravi o di sterlizzare le gatte randagie, di sostenere un’orchestra di ragazzi o di promuovere la tutela di edifici storici, che sia per una raccolta di firme o per durare negli anni, resta grande la capacità di agire di concerto, purchè in gruppi di limitate dimensioni. Fare dei tanti piccoli gruppi uno spirito unico che agisca in una direzione comune sarà una sfida per la città del XXI secolo: una sfida aperta al contributo della società e della politica.

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Pubblicato il 30 Dicembre 2010
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