Sarà un anno “di fuoco” per i volontari varesini
In occasione della proclamazione dell'anno europeo del volontariato il direttore del cesvov, Maurizio Ampollini, fa il punto sullo stato di salute del settore nella nostra provincia. E si aspetta il peggio
Dopo avere seguito il complesso iter previsto dalle norme comunitarie, il Consiglio dell’Unione Europea, il 27 novembre 2009 ha proclamato l’anno 2011 “Anno europeo delle attività di volontariato che promuovono una cittadinanza attiva”. Tutto nasce da una risoluzione del Parlamento Europeo del 22 aprile 2008 che conteneva ben 27 proposte, tutte estremamente interessanti e collegate tra di loro, tra le quali la XIX recitava espressamente: “raccomanda di dichiarare il 2011 Anno europeo del volontariato”.
Premessa fondamentale è la considerazione che il volontariato rappresenta un valore per la promozione della coesione sociale ed economica dell’Europa. Non è cosa di poco conto, soprattutto se si pensa al ruolo svolto dal nostro paese, all’avanguardia nel riconoscimento della funzione del volontariato all’interno della società. Nostra è infatti la prima legge organica che se ne occupa specificamente: la Legge quadro sul volontariato n° 266 dell’11 agosto 1991. Pur essendo questo un fenomeno diffuso nei paesi dell’Unione, molto particolare è poi il ruolo che il volontariato svolge in Italia, spesso non adeguatamente compreso al di fuori dei nostri confini particolarmente in area anglosassone. Anzi a volte oltralpe anche sotto questo aspetto ci hanno considerato dei pasticcioni che, incapaci di gestire la cosa pubblica come si deve, si affidano al volontariato per sopperire alle lacune dello stato o dei comuni. Chi fa volontariato sa bene invece che le cose non stanno così. La specificità positiva del nostro paese emerse in tutta la sua grandiosità in occasione dei funerali di papa Giovanni Paolo II. Cito questo fatto solo per l’eco mondiale che ebbe, ma molti altri potrebbero essere gli esempi da citare. Di fronte ad un evento che convogliò su Roma in poco tempo, oltre due milioni di persone, il sistema Italia seppe dare al mondo intero dimostrazione di efficacia, efficienza ed accoglienza. Ciò fu possibile grazie anche e soprattutto alle migliaia di volontari che si misero a disposizione gratuitamente e con dedizione perché tutto andasse per il meglio: dalla logistica alle informazioni, all’assistenza sanitaria all’accompagnamento dei dolenti. Autorevoli organi di stampa tedeschi, inglesi e americani rimasero favorevolmente stupiti dalla forza e dalla capacità del nostro volontariato.
Qui sta la ricchezza del nostro volontariato: nel suo numero, nella sua diffusione capillare, nel suo radicamento sul territorio, nella capacità di autogestirsi tramite la forma giuridica dell’associazione. Qui sta il punto. Non è che nel mondo anglosassone ci sia meno propensione a dedicarsi gratuitamente agli altri ma questo spesso avviene tramite azioni individuali, o legate a singole iniziative, oppure ancora al servizio delle Fondazioni, entità giuridiche dominanti nel panorama del Terzo Settore di quei paesi. In Italia non è così, da noi c’è la centralità dell’Associazione. L’associazione è un istituto che discende direttamente dal diritto romano e che vede nei soci, le persone, la propria ricchezza. La Fondazione trae invece le sue origini nel diritto germanico, è sostanzialmente un patrimonio vincolato a raggiungere uno o più scopi ben precisi, le persone sono strumentali a tutto ciò.
Ma nell’ambito di questa grande risorsa e valore per l’Italia che è il volontariato, qual è il suo stato di salute nel nostro territorio? Mi piace di rispondere dati alla mano, anche per evitare di dare dignità di fatto a ciò che spesso è solo una sensazione. La provincia di Varese in questo non è seconda a nessuno e si piazza nella parte alta della classifica. Il nostro volontariato sta mediamente bene ed è in crescita anche se ovviamente qua e là i problemi non mancano. Alla fine del 2010 nella nostra provincia sono 421 le organizzazioni di volontariato iscritte all’apposito registro, alla stessa data del 2000 erano soltanto 225, praticamente la metà. Sempre dai dati ufficiali (gli ultimi disponibili in questo caso sono però del 2008) sappiamo che a queste organizzazioni aderiscono 90.074 soci, dei quali 10.543 sono volontari attivi e continuativi. Una cifra importante costante negli ultimi anni cui andrebbero in realtà aggiunti circa altri diecimila volontari impegnato nelle associazioni di promozione sociale, in quelle sportive dilettantistiche, nelle parrocchie e nelle cooperative sociali. Molto vari sono anche gli ambiti in cui il volontariato varesino opera: sanità, servizi sociali, tutela dei diritti, cultura, ambiente, protezione civile, solidarietà internazione, sport, aggregazione, ecc. I destinatari delle attività, sono poi oltre alla popolazione in generale: i minori, gli anziani, i disabili, i malati, gli emarginati, le famiglie, gli extracomunitari. Anche la diffusione sul territorio è capillare, basti dire che se sul capoluogo si concentrano 83 organizzazioni di volontariato, tenendo conto che vi sono anche quelle provinciali, le altre sono equamente distribuite sulla gran parte dei 141 comuni della nostra provincia con alcune aree più coperte di altre.
Un limite è però rappresentato dall’età dei volontari. Solo il 10,8% dei maschi e il 13,2 % delle femmine ha meno di 29 anni, mentre gli ultrasessantacinquenni sono oltre il 18% in entrambi i generi. Un altro aspetto, percepito dai dirigenti le associazioni, è la difficoltà a reclutare nuovi volontari rispetto al passato. In realtà il numero dei volontari è sostanzialmente stabile o in leggero aumento negli ultimi anni. Se però le associazioni tendono a moltiplicarsi, a volte senza che ve ne sia una reale necessità, è chiaro che anche soltanto per proprietà aritmetica il numero di nuovi adepti tenda a diminuire rispetto al passato. Vi sono poi a volte difficoltà ad accogliere il volontariato giovanile in alcuni ambiti cosa che non avviene in altri.
Il 2011 rischia comunque di essere un anno di fuoco per il volontariato varesino, i tagli anche pesanti cui sono soggetti i comuni, faranno sì che soprattutto nell’ambito delle politiche sociali, che è ancora il settore in cui opera maggiormente il volontariato, le richieste inevase dalle pubbliche amministrazioni cerchino comunque risposte presso chiunque viene ritenuto in grado di darne. Questo a maggior ragione perché ormai da anni, le associazioni lavorano in stretto contatto con i comuni e molte sono le convenzioni stipulate in tal senso. Non è però pensabile che il volontariato si sostituisca in toto all’ente locale. Potrà aiutare, prendersi carico anche della gestione di piccoli servizi di prossimità, ma la complessità del settore assistenziale richiede ben altra capacità di intervento che non può che essere quella dell’impresa sociale. Il rischio è infatti quello di creare disservizi oltre che di snaturare il senso e l’apporto che il volontariato può dare. Ben venga allora l’anno europeo se sarà l’occasione per mettere, una volta tanto il volontariato sotto i riflettori e ragionare su cosa fare per salvaguardarlo e svilupparlo. Sotto questo profilo alcuni segnali degli ultimi tempi come il taglio del 5 per mille, evitato soltanto in extremis, speriamo non si ripetano più.
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.