Danny Glover: il cinema come strumento per trasmettere valori

L'attore afroamericano ospite dell'Istituto cinematografico Antonioni di Busto Arsizio. "Ho amato il cinema italiano da ragazzo. La mia ispirazione più forte però è stata la famiglia: i nonni contadini e la madre laureata"

Il cinema come strumento per trasmettere valori ed emozioni. È Danny Glover, popolarissimo attore di pellicole di successo (la serie "Arma letale", "Il colore viola", "Le stagioni del cuore", "Silverado"), a raccontare e raccontarsi negli incontri odierni che lo vedono protagonista a Busto Arsizio. In mattinata è stato in Comune per qualche foto e un breve incontro con il sindaco Farioli, nel pomeriggio l’incontro a Villa Calcaterra con gli studenti dell’Istituto Cinematografico Michelangelo Antonioni, in serata al Fratello Sole con i fan per una proiezione gratuita di "Switchback-Linea di Sangue". Giornata piena (anche di autografi) per Glover, attore, regista, produttore, ambasciatore Unicef nel mondo, artista e attivista a un tempo. Ad accoglierlo, su tutti il direttore dell’Istituto Antonioni, e dal 1° gennaio presidente della BA Film Commissione, Andrea W. Castellanza che lo ha accomagnato in una sorta di lunga intervista su spunti vari.

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«Mi piaceva fin da ragazzo il cinema italiano. È notevole come la vita abbia sempre in serbo delle sorprese, mai avrei pensato di ritrovarmi qui con dei filmmaker italiani; e mai avrei pensato di recitare in film italiani, tra cui "Sicilian defence"» presentato l’anno scorso a Milano nell’ambito del BA Film Festival. «La mia carriera di attore si è intersecata con l’esistenza come cittadino, in 33 anni di passione per il cinema e la recitazione oltre a fare film ho avuto modo di occuparmi di temi globali in una cornice che mi permette di esser eme stesso, che si parli di Egitto o di Palestina, di questioni che riguardano anche l’Italia, come l’immigrazione, l’inquinamento, il riscaldamento globale». Un buon attore deve avere occhio acuto e mente aperta, e Danny Glover, a dispetto della caratterizzazione che lo rende più noto per film "di cassetta", ha entrambi. E una spiccata sensibilità, ereditata, evidentemente, da una buona famiglia. «Mamma e papà restano la più grande influenza della mia vita. Mia madre in particolare era straordinaria, una vera forza della natura: la prima della famiglia a laurearsi». Martin Luther King er aancora lì da venire, figurarsi Obama. «I nonni materni erano contadini poveri, osarono, rischiarono, si trasferirono a San Francisco, dove sono nato io, a migliaia di miglia da casa loro. Io però sono cresciuto in parte con i nonni, ho conosciuto la campagna, cosa vuol dire raccogliere il cotone o dare da mangiare ai maiali. Mi è servito per recitare ne "Le stagioni del cuore"» dove intepreta appunto un contadino che se la deve vedere con i razzisti del Ku Klux Klan. «Il nonno però aveva capito che il paese era destinato a grandi cambiamenti» e fece studiare la figlia fino alla laurea. Oggi il Presidente degli Stati Uniti ha la pelle nera.

L’Italia per Danny è un riferimento ideale importante: «il vostro cinema ha una storia speciale, io ci sono cresciuto, vedendo i film sottotitolati, ricordo "Ladri di biciclette", i film di Fellini, di Lina Wertmuller. Da ragazzo stavo molto al cinema, anche perchè avevo qualche problema con la lettura a scuola…»
C’è il mestiere di attore naturalmente nel dialogo con Castellanza che una platea strapiena a Villa Calcaterra ascolta con attenzione. «I personaggi crescono, si trasformano, è affascinante. Guardate quello che intepretavo ne "Il colore viola": ambiguo, complesso, talora violento. Frutto di un amore desiderato e non ricevuto, dal padre prima, dalla donna amata e irraggiungibile poi. Registi? Ricordo con particolare stima Lawrence Kasdan, ci siamo capiti subito, abbiamo circa la stessa età. Quando micontattò, mi disse che voleva girare un western con un eroe nero»: e fu la genesi di "Silverado", uscito nel 1985. Quella insolita "negritudine del West" si ritroverà più avanti in un film per la tv recitato e prodotto da Glover, "Buffalo Soldiers": «Vi abbiamo descritto l’impiego di truppe di colore, tra il 1868 e il 1892, contro gli indiani d’America. Paradossale: il 60% di noi neri ha sangue indiano nelle vene. Mia nonna materna aveva sangue Chocktaw, ad esempio. Nel film contrasto la posizione di un ex schiavo affrancato e di un nero mezzosangue Seminole». La storia americana è meno lineare e "bianca" di come la si è dipinta, essendo sempre stato il potere politico ed economico in mani bianche e anglosassoni. «Ma anche neri, messicani e cinesi hanno partecipato all’espansione nel West», dice Glover, impegnato difensore dei diritti delle minoranze: insomma anche loro hanno fatto l’America e la sua epopea.
Valori e scelte morali possono trasparire da un’opera: «Nel finale i soldati di colore lasciano volutamente scappare gli indiani accerchiati. Era fiction, ma poi una pronipote di un capo indiano ci ha fatto sapere che le cose, secondo tradizione orale della sua tribù, una volta andarono davvero così». Nel cinema, dice Glover ai ragazzi, si possono trasportare attraverso la scrittura e il racconto cinematografico le proprie esperienze personali, i valori recepiti. Si direbbe strano, sentito da chi è diventato famoso con la serie di cassetta come "Arma letale". Eppure Glover rilea come ognuno dei quattro film, dietro la pura azione, puntasse a problemi reali e sentiti: l’esplodere del traffico di armi, della droga, dell’immigrazione, il razzismo. «Fare scelte per la bostra carriera, è nelle vostre mani» è il suo viatico agli studenti. «Io credo, attraverso l’incredibile sucesso delle pellicole "di cassetta" in cui ho recitato, di aver potuto dedicarmi ad altro, per recitare e creare sulla base del mondo che io vorrei vedere per i miei figli, per mio nipotino che ha sette anni».

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Pubblicato il 02 Febbraio 2011
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