Il silenzio di Milano
Un lettore, Giacomo Petitti, ci scrive il suo commento sulla manifestazione "Se non ora quando"
La padrona di casa meno milanese che ci sia, la sicilianissima Teresa Mannino, chiede un minuto di
silenzio, con quel suo tono ironico e solare ma al contempo deciso, e l’intera piazza si fa muta per
pochi, interminabili secondi.
Il tempo sembra fermarsi, scandito solo dallo scrosciare rumoroso della fontana di fronte al castello
sforzesco. Ad ascoltarlo, è un silenzio che suona come il risultato della somma di tutte le ragioni
della protesta.
Fa rumore l’energia delle donne, che non ci stanno più a vedersi sminuite e mortificate nel ruolo di
cortigiane al palazzo del Re Sole. Si alza la voce degli uomini, che sono stufi di vedere misurata
la loro virilità a suon di gare a chi ce l’ha più lungo e a chi concupisce (a pagamento, s’intende)
più femmine. Si distingue chiaro e forte lo sdegno dei cittadini, che non possono più sopportare il
continuo dileggio clientelare delle istituzioni e l’ostentato abuso di potere di una classe dirigente di
settantenni prigionieri del mito dell’eterna giovinezza.
Non sventolano bandiere di partiti né di sindacati, nel silenzio fermo e surreale della Milano che
corre per tutta la settimana. Solo volti, donne di ogni età ed estrazione sociale. Molte famiglie con
bambini. E tanti uomini, soli o accanto alle loro mogli e compagne di una vita. Quelle con cui
hanno diviso tutto, hanno cresciuto i figli. Quelle con cui oggi stanno cercando di tenere in piedi
un’Italia che sbanda e sprofonda, dove la flessibilità è diventata precariato permanente e comprare
casa è un affare per pochi privilegiati.
Fa impressione, il silenzio di Milano, è come un segnale, indignato e civile, di una città che ha
sempre risposto presente nei momenti che contano.
Infatti la gente è tanta che piazza Castello non riesce a contenerla. Le vie laterali traboccano di
persone e ben presto tutta via Dante si riempie di manifestanti, su su fino al Duomo. Nei pressi
del palco è praticamente impossibile muoversi, si sta pigiati e stretti, ma stupisce l’educazione e la
civiltà con cui ognuno fa la sua parte per contribuire a mantenere l’ordine pubblico.
In questa piazza voluta e convocata dalle donne la violenza non trova posto, anzi, ci si aiuta e si
sorride. Col clima politico che abbiamo respirato di questi tempi è una boccata d’ossigeno, una vera
e propria lezione di stile. Le forze dell’ordine lo hanno capito subito e si tengono ben lontani, non si
avverte nessuna tensione. Ci voleva poi così tanto?
Centomila persone, pacifiche, per strada, per cambiare.
A rompere la magia, il grido di battaglia che proviene dal palco:
“Se non ora quando?”
“ADESSO!” risponde la folla all’unisono, ed è un boato che fa tremare il castello, carico
dell’energia accumulata nel silenzio.
Ora la piazza è tutta un fragore di luci e di suoni. Al microfono si alternano interventi e
testimonianze. Viene passata Scandalo, di Gianna Nannini, e tutti si mettono a ballare, come
catapultati in una grande discoteca a cielo aperto.
Applausi e slogan, i centomila vogliono farsi sentire e gridano a squarciagola “Dimissioni –
dimissioni!”.
Su uno striscione c’è scritto: “La dignità delle donne è la dignità di una nazione”, ed è la risposta più
immediata a tutti coloro che hanno cercato di far passare questa manifestazione per una kermesse
tra moralisti radical chic.
Una ragazza regge un cartello che recita: “Lo zio di Ruby si è dimesso, il papi quando?”
La piazza delle donne sembra non avere dubbi. Adesso.
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