Marcare il territorio
Marnate e l'intitolazione di una via: un momento simbolico di una lotta mai conclusa, a colpi di memoria storica di parte
La marcatura ideologica del territorio come simbolo di potere e la rivincita storica sulla "discriminazione" subita per tanto tempo. C’è molto di questo dietro la vicenda di Marnate, dove la giunta comunale ha prima deciso l’intitolazione di una nuova via a Giorgio Almirante, salvo poi sospendere l’atto con tanto di controdelibera a fronte dell’alzata di scudi di cittadini e associazioni più o meno "antifasciste".
C’è una guerra civile che 66 anni dopo non è affatto finita, la politica di oggi ne è la prosecuzione con altri mezzi, e con forze peraltro impari, in una grottesca parodia invertita della famosa massima del Clausewitz. Forse è fisiologico in democrazia, "il peggior regime immaginabile ad eccezione di tutti gli altri", come disse Churchill; un regime studiato appunto perchè non ci si massacrasse più, nè fra le nazioni, nè all’interno di queste. A ognuno la libertà di dire quel che crede e di sbandierare la sua fede politica, che in Italia, poi, somiglia sempre più a quella calcistica, per argomenti e profondità.
Succede che i tempi cambiano, ma le resistenze a "superare", all’amnesia storica verso quello che è stato, permangono. L’imprinting del "decennio antifascista", i Settanta, una generazione dopo la Resistenza e in coincidenza con gli Anni di Piombo delle BR e dei "neri", delle stragi più o meno di Stato per indirizzare l’opinione pubblica e degli assassini politicizzati, permane. E permane e si trascina l’onda irresistibile del trentennio di destra che lo ha seguito e di cui siamo al culmine, o forse alla prossima disgregazione: una vera "autobiografia della nazione" bis, per parafrasare Gobetti. Nel frattempo per due generazioni si sono dedicate vie agli eroi della Resistenza e ai protagonisti della politica repubblicana, in un "mantra" che comunque escludeva una non indifferente percentuale di italiani, fascisti convinti di ieri, di oggi e di domani, dichiarati e non, dalla narrazione condivisa del cosiddetto "arco costituzionale". Del resto, in precedenza, per vent’anni avevano parlato solo e soltanto "loro", quelli che avevano sempre ragione, che facevano arrivare i treni in orario, che bonificavano le paludi e facevano battaglie del grano, che fondavano imperi e che avrebbero vinto: fin quando non trascinarono il Paese alla rovina e alla dominazione straniera, tuttora non conclusa nei fatti, altro che sogni di potenza. Non ci si deve meravigliare se settant’anni dopo c’è chi ancora fuma di rabbia solo a pensarci, magari per i racconti di un nonno ormai morto da tempo. O per non averlo potuto conoscere affatto.
Scendendo dai massimi sistemi troviamo la piccola Marnate, dal sindaco improvvisamente trovatosi sotto tiro per una intitolazione ad un personaggio come Almirante, sgradito a una parte politica, che non è necessariamente e solo la "sinistra estrema", e dall’assessore minacciato per posta elettronica da ignoti. E dietro l’assessore un elemento della politica di collegamento con il governo, Marco Airaghi, collaboratore prezioso del ministro La Russa in una catena di politica orgogliosamente ex-missina che da Roma scende fino in Valle Olona; quell’Airaghi che oggi se ne esce con la classica soluzione che non si può rifiutare. Il nome di Sergio Ramelli non è negoziabile, è una vittima, punto; difficile dire di no a un’intitolazione di questo tipo. Sergio fu una vittima della violenza politica degli anni Settanta, un ragazzo appena maggiorenne "colpevole" solo di avere idee nettamente contrarie a quelle dei suoi assassini, punto. Erano tempi in cui l’antifascismo "militante" se la prendeva con la controparte a colpi di chiave inglese, o di P38. Erano i tempi nei quali sul muro, accanto al sempreverde (pardon, semprenero) "MSI vince", si leggevano in vernice debitamente rossa amabili facezie in rima a base di spranghe e crani spaccati, poi adottate dal tifo calcistico più estremo. Non che la violenza contro gli individui fosse a senso unico in quegli anni, naturalmente: chiedere a Franca Rame per informazioni. Resta il fatto che ogni parte coltiva esclusivamente la "sua" memoria, e usa i "suoi" morti come clave.
"Se voi volete andare a rivangare la guerra, noi rivanghiamo gli anni di piombo" è il sottotitolo della controproposta "irrifiutabile" di Airaghi, che, spuntato alle spalle dell’assessore Pisani, facilmente avrà l’ultima parola. Il centrosinistra marnatese, bastonato alle elezioni ma che non ci sta a farsi mettere in un angolino, aveva proposto di intitolare la via alla Pace: ma anche quella, ormai, è di parte. Le bandiere della medesima le hanno sfoderate solo quelli della sinistra e dintorni, negli ultimi anni.
Si traduce così in uno scambio di mazzate del tutto sintomatico del degrado della politica nazionale anche una questione piccola piccola, piccolissima in verità, che mai sarebbe sorta se qualcuno avesse avuto il buonsenso di chiamare quella strada ancora in costruzione "via dei Gelsomini" o qualcosa di simile. Anche se, conoscendo gli italiani, c’è da dubitare che in casi simili possano anche avviare una discussione di ordine botanico. Anche gli alberi e i fiori, in questo paese, sono finiti lottizzati dalla politica. E in quello la colpa, indubitabilmente, tra ulivi, querce, rose e margherite avvizziti o sradicati, è tutta da una parte.
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