“Ho visto la rivolta, la nostra Tunisia non ha più paura”

Neji ha 22 anni, da 5 vive a Biumo: era in Nordafrica quando sono iniziate le proteste. Insieme a sua sorella ci racconta le speranze della rivoluzione dei giovani

«Conosciamo solo la parola "democrazia", dobbiamo imparare cosa sia davvero». Neji ha 23 anni, sua sorella Anoir ne ha 19, stanno uno a fianco all’altro nella piazza dove si manifesta per la libertà dei popoli arabi. Nei loro occhi c’è l’entusiasmo di chi sta vivendo una fase storica, in cui i popoli – e i giovani – riprendono in mano la loro sorte. Forse anche l’orgoglio di essere tunisini, del Paese che per primo ha dato il via alla rivolta. Sta cambiando la Tunisia? «Dopo 23 anni di dittatura, speriamo di sì. Non è cambiato del tutto il governo, ma le persone almeno sì. Ma la vera differenza sta nel fatto che non abbiamo più paura, lo si vede nelle strade, nei discorsi della gente: dopo 23 anni abbiamo perso la pazienza, era giusto che fosse così. Ora aspettiamo che si rivoltino anche gli altri Paesi, non solo la Tunisia, l’Egitto, la Libia» spiega Anoir, che è in Italia da sette anni ed è arrivata due anni prima di suo fratello.

La loro famiglia viene da Nabeul, una cittadina di 58mila abitanti vicino ad Hammamet, sulla costa. Zone sviluppate, anche turistiche, lontane dalla povertà estrema delle aree minerarie: ma anche qui il fuoco covava sotto la cenere. Neji era andato in Tunisia a ottobre, è appena rientrato: «Sembrava un sogno, non sembrava vero: è stato come un incendio che si è sviluppato improvvisamente. Abbiamo protestato, ci siamo scontrati con la polizia. A Tunisi c’è un controllo più attento, nelle altre città la protesta è stata subito forte» racconta. Poi Neji è tornato a casa, a Biumo, insieme a sua sorella hanno continuato a seguire la protesta, attraverso Al Jazeera e anche attraverso il web: «Il ruolo di Facebook – conferma Anoir – è stato importante, nei video pubblicati si faceva vedere la realtà com’era, più che in televisione».

Ieri sera i due giovanissimi fratelli erano in piazza XX settembre a Varese, un po’ defilati in mezzo alle bandiere e agli striscioni che chiedevano al governo italiano di aiutare il popolo libico e di prendere posizione contro i dittatori. «Sicuramente è stato positivo che i governi europei hanno bloccato i beni di Ben Alì. Oggi – dice ancora Anoir – chiediamo all’Europa di aiutarci, perché non sappiamo cos’è davvero la democrazia, conosciamo solo la parola, ma vogliamo davvero fare pulizia dalla dittatura». L’Italia oggi sembra più preoccupata per l’arrivo dei profughi. Che sensazione hanno? «Da lì scappano solo le persone più disperate – dice il fratello – anche chi era in carcere e non può continuare a vivere nel suo Paese. Forse da questo punto di vista non è un bene per l’Italia. Però ora anche noi oggi in Tunisia siamo alle prese noi con tanta gente che scappa da Egitto e Libia. Si dice sempre che gli arabi sono fratelli, è il momento di dimostrarlo». I due fratelli hanno l’impressione che le cose stiano cambiando. C’è il rischio che ci sia spazio per l’estremismo islamico? «Noi non vogliamo un governo islamico come in Iran, non vogliamo che le leggi dell’Islam diventino le leggi dello Stato. Ma non abbiamo paura, Al Qaeda non c’entra nulla: quando uno a fame, ha fame. Pensa al pane, non pensa alla guerra. In Tunisia ci sono tantissimi diplomati che hanno studiato e non riescono a trovare lavoro, stavano impazzendo. Gente istruita che sa che la Tunisia ha grandi ricchezze e possibilità»

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 02 Marzo 2011
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