In piazza contro i dittatori e per la democrazia
Sindacati, coordinamento migrante e stranieri riuniti in un presidio in piazza XX settembre: "L'Europa faccia la sua parte, aiuti la democrazia in Nordafrica"
Gli striscioni e i cartelli chiedevano tutti una sola cosa: la cacciata dei dittatori nordafricani, un’Europa che sostenga la libertà dei popoli. Confinati in una zona un po’ isolata (piazza XX settembre, nel mezzo del traffico), i manifestanti riuniti dal Coordinamento Migrante di Varese hanno fatto sentire la loro voce, con musica e striscioni per chiedere un impegno nuovo: «Le aspirazioni di democrazia e benessere di questi popoli e dei molti giovani che hanno guidato le manifestazioni di protesta – spiegavano – devono essere sostenute da una ritrovata unità e volontà di tutta l’Unione Europea, dentro la quale l’Italia deve abbandonare il ruolo attendista e reticente che l’ha caratterizzata per troppi giorni e giocare invece un ruolo propulsivo di primo piano». Le critiche erano rivolte al governo italiano, ma anche l’Europa molto accomodante con i dittatori più o meno sanguinari, dal "moderato" tunisino Ben Alì protetto dalla Francia a quel Gheddafi sdoganato dall’Italia grazie agli accordi che prevedevano il controllo energico sull’emigrazione. In prima fila i sindacati Cisl e Cgil, con i rappresentanti dei lavoratori stranieri, Acli, Arci, Uisp e altre associazioni, ma erano presenti anche militanti del Pd e di Sinistra e Libertà: una manifestazione che s’inserisce nella mobilitazione dei mesi scorsi, con cui è stata posta con forza e lucidità la questione dei diritti umani nei Paesi del Maghreb, anche in quelli considerati amici fidati dell’Europa. Un tema che era stato denunciato con forza da alcuni giornalisti, con riferimenti ad episodi precisi e indagini rigorose. Nelle file del Coordinamento Migrante, però, ci sono anche tanti stranieri, africani, sudamericani, dell’Europa orientale. E anche alcuni arabi: «Oggi conosciamo solo la parola "democrazia", non sappiamo davvero cosa sia», spiegano due giovani fratelli tunisini che vivono a Varese, pieni di entusiasmo e speranza, ma anche un po’ timorosi di fronte alle sfide del loro Paese d’origine. Mustafa invece è un operaio di Saronno iscritto alla Cisl, è anche cittadino italiano. «Siamo contenti di aver vinto la battaglia» dice, consapevole però che la sfida è più grande: «La famiglia di Ben Alì vuole prendere il suo posto, tutto deve essere ancora deciso, il percorso è lungo. Fino ad oggi i militari (in parte vicini ai manifestanti, NdR) sono stati fondamentali, ma già il governo ha dato ai poliziotti un aumento di 140 dinari per tenerli dalla sua parte». Anche lui sembra da un lato entusiasta, dall’altro vede davanti a se una sfida ancora aperta, non solo in Tunisia: «Ho trentasei anni, non ho mai avuto occasione di votare. Vedo un bel cambiamento in atto in tutto il mondo arabo: ora speriamo che tutti i popoli arabi si uniscano e riescano ad avere democrazia come c’è in Italia e Europa». Quell’Europa a cui si chiede di avere fiducia, di non aver paura della democrazia.
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