Terrore mafioso a Busto: incendi a chi non paga
Operazione "Fire off". I cinque esponenti arrestati del clan madonia tenevano in pugno decine di imprese edili della zona, tutte gestite da imprenditori di originee gelese. Chi non pagava aveva incendi e angherie
Mafiosi che taglieggiano imprenditori. In Lombardia. Gli arrestati dell’operazione «Fire off» sono esponenti locali del clan Madonia Rinzivillo, radicato a Gela, ma da tempo residenti a Busto Arsizio e dintorni. Sceglievano vittime di origine gelese, per sfruttare la soggezione e l’intimidazione che viene dalla conoscenza delle pratiche mafiose. Il capo è considerato dagli inquirenti Rosario Vizzini, 51 anni, pregiudicato, processato tra l’altro per l’omicidio dell’avvocato Mirabile a Gallarate ma assolto in cassazione. E poi, Fabio Nicastro 39 anni, Dario Nicastro 37 anni, Emanuele Napolitano 43 anni, Rosario Bonvissuto 38 anni. Sono tutti indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsioni, attentati incendiari, e a loro è stata anche contestata l’aggravante di aver agito con metodi mafiosi. Ma hanno già precedenti per gli stessi reati.
La squadra mobile inizia a indagare subito dopo un attentato a Induno Olona il 30 dicembre del 2009. Gli affiliati, che hanno a loro volta alcune ditte edili, cercano un subfornitore da cui si ritengono truffati. Gli bruciano la macchina sotto casa della madre, fanno esplodere un’altra vettura per incenerirlo, ma rischiano di uccidere i vigili del fuoco.
La squadra mobile di Varese si fa sotto, passa tutto all’antimafia con i pm Ilda Bocassini e Nicola Piacente. Qualche giorno dopo un barista di Busto Arsizio che rifiuta di organizzare un appuntamento tra i boss e il subfornitore si ritrova con il bar bruciato. Qualcuno parla, e si capisce anche che gli incendi nei cantieri edili della zona hanno una matrice univoca. La squadra mobile e il commissariato di Busto Arsizio scoprono decine di episodi. Alcuni imprenditori parlano. Si scoprono episodi odiosi. A una ditta viene imposta la cessione di un ramo d’azienda. E 20mila euro di pizzo. Due imprenditori edili sono costretti a pagare 30mila euro per un’intermediazione mai effettuata. Un altro imprenditore edile riceve la richiesta di 100mila euro; non paga e gli bruciano una ruspa, a quel punto cede e corrisponde 10mila euro. A due fratelli viene bruciata la Mercedes. Un ristoratore viene derubato di tre auto con la scusa di un prestito. E poi nel suo ristorante i persecutori mangiano e bevono gratis e si fanno anche dare i buoni pasto. Ma perché gli imprenditori di origine gelese pagano, o perché accettano di entrare in finti affari? «Perché sanno che non si possono rifiutare» spiega uno degli inquirenti. «Sono tutti siciliani, di Gela, hanno parenti in città, hanno paura delle ritorsioni…come dire, è un ambiente dove tutti sanno tutto di tutti».
Vizzini e gli altri, secondo le accuse, non fanno mistero della loro appartenenza mafiosa: mostrano articoli di giornale che parlano di loro, oppure suggeriscono: «Vai su internet a vedere chi sono».
(nella foto, Giovanni Broggini commissariato di Busto Arsizio, il funzionario Artusi e Sebastiano Bartolotta capo della squadra mobile)
A un imprenditore di Lecco uno degli affiliati, Fabio Nicastro, chiede di prenotargli una casa a Pedaso, nelle Marche, dove egli stesso è in vacanza. Ci va con tutta la famiglia e lascia al taglieggiato il conto da pagare, ma non solo. Vuole anche pranzi, colazioni, cene e persino il biglietto di ingresso nello stabilimento balneare. Quando un ristoratore preso di mira fa sapere che rivorrebbe la sua macchina, spiega alla moglie quello che deve rispondere al poveretto: «Se si prende la macchina come esco lo scanno…lo ammazzo a lui e a quella p. di sua moglie…gli brucio la casa…gli dici guarda che mio marito ti fa passare le pene dell’inferno».
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