“Ho visto uccidere ragazzi come me, non posso tornare”

Patrick, rifugiato ghanese di trentanove anni, non aveva idea di venire in Italia. Racconta il dramma che ha vissuto e il suo arrivo a Varese dove è ospitato in via provvisioria

Patrick parla con voce calma e quasi sembra impossibile che racconti un dramma così grande da sembrare solo un film. Ha trentanove anni, Patrick, ed è ghanese: da qualche settimana la sua nuova casa – temporanea e provvisoria – è un albergo di Varese: profugo due volte, prima dal suo Paese, poi dalla Libia.

Perché ti trovavi in Libia? Come ci sei arrivato?
«Avevamo problemi nel nostro Paese, dove c’è uno scontro tra due etnie. Così siamo partiti: le donne sono andate in Togo, mentre io e mio fratello minore siamo andati in Libia per lavorare. Io sono un meccanico di auto, ma in Libia non ho trovato lavoro di questo tipo e così ho lavorato nelle costruzioni. Stavamo a Tripoli e nei dintorni, costruivamo abitazioni: lavoravamo in proprio io e mio fratello, ma per conto dei libici. Stavamo in una casa di cinque stanze dove vivevamo in 18 persone. Ma a volte alcuni dormivano fuori, perché i cantieri erano lontani e i costruttori facevano dormire fuori. Era difficile stare in Libia, ma dovevamo mettere via i soldi da mandare alla nostra famiglia».

Si dice che da parte dei libici ci fosse già prima della guerra un diffuso razzismo. Qual è la tua esperienza?
«Se lavori non ci sono problemi, almeno io personalmente non ne hpatrick profugo a vareseo avuti. Chi invece se ne sta in giro perché non ha lavoro ha più difficoltà. Ma con la guerra tutto è cambiato».

Perché?
«Gheddafi ha preso molti africani come mercenari, per uccidere i ribelli. Così i ribelli anche nella zona di Tripoli andavano loro in cerca degli africani: ho visto di persona tre ragazzi africani uccisi così».

A questo punto cosa avete fatto?
«Noi non abitavamo vicino al mare, nel nostro quartiere alla fine non erano rimasti più africani. Allora siamo tornati verso Tripoli: alcuni partivano per il loro Paese, ma noi non ci possiamo tornare, non avevamo più lavoro nè soldi. È stato allora che abbiamo scoperto che c’era gente che partiva con le barche: siamo andati sulla costa e abbiamo preso subito la decisione, ci siamo imbarcati solo con i vestiti che avevamo addosso. Non volevamo andare in Italia, ma solo andarcene da lì».

Come è stato il viaggio in mare?
«Eravamo su un grande barca, da diciassette metri: eravamo 420. Siamo partiti alle 22.30 di giovedì notte, siamo arrivati a Lampedusa sabato 30 aprile, al mattino presto. Non è stata lunga, ci è andata bene.
Avevamo pane e acqua, ma non mangiavamo, molti stavano male per il mare. A un certo punto abbiamo visto le luci di Lampedusa (il paese, ndr), ma poi le correnti ci hanno spinto lontano e ci ha trascinato verso le pietre (scogli). Allora siamo sbarcati, mentre scendevamo due persone sono sparite in mare». (nella foto, uno dei barconi arrivati sull’isola il 30 aprile).

Siete riusciti a toccare terra…
«A terra abbiamo visto una luce lontana, ci siamo messi a camminare. Erano le luci di una vettura e abbiamo chiesto di portarci alla chiesa o dalla polizia. Poi sono venuti a prenderci tutti A Lampedusa siamo rimasti 5 giorni, le condizioni erano buone rispetto a quello che avevamo passato: hanno curato i feriti, ci hanno dato da mangiare e una scheda telefonica per chiamare le nostre famiglie».

E dopo i cinque giorni a Lampedusa, dove siete arrivati?
«Ci hanno portati con la nave a Taranto, poi siamo stati tre giorni a Manduria (dove alcuni scappavano, ma loro no, perché non avevano idea di dove andare, non avevano intenzione di venire in Europa). Poi siamo andati a Bari e siamo stati lì un mese».

Cosa farete ora?
«Oggi è difficile pensare di tornare in Libia, fino a che ci sono i bombardamenti. Nel nostro Paese non possiamo tornare».

Sei passato da una situazione infernale. Hai speranza o paura per il futuro?
«Dal mio punto di vista, ho fiducia in me stesso, nel domani, perché sono un uomo. Se ci sono prove da affrontare, le affronterò».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Giugno 2011
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