Il professore non toccava le ragazzine, era solo una diceria
Pettegolezzi e pregiudizio dietro una presunta storia di palpeggiamenti tra i banchi di scuola, ma il tribunale ha ritenuto infondate tutte le accuse, nate forse per un grande equivoco tra i ragazzini
«Attenti che quel prof tocca». Era solo una diceria, che le ragazzine più grandi riferivano a quelle più piccole, a Comerio. Ma quelle frasi, sui gusti sessuali del professore di applicazione tecnica della scuola media, 59 anni – un uomo severo che in aula pare non facesse sconti – sono diventate accusa in tribunale. Un gruppo di sette ragazzini, maschi e femmine, di prima e seconda media, aveva raccontato alla polizia che il docente, a scuola, toccava le natiche, e altro, o guardava la bimbe nel bagno. Quasi cinque anni di processo per violenza sessuale nei confronti di minori, ma ieri il collegio (presidente Orazio Muscato, a latere Rossella Ferrazzi e Anna Giorgetti) ha assolto da tutte le accuse il docente, che nel frattempo, per opportunità, ha dovuto cambiare scuola. E’ stata la stessa procura a chiedere l’assoluzione, seppure con la vecchia insufficienza di prove, mentre il tribunale lo ha assolto con formula piena, accogliendo la tesi della difesa e cioè che l’insegnante sia stato vittima di un fraintendimento sistematico di ogni gesto, dove ogni occhiata diventava uno sguardo allusivo.
Sulla vicenda hanno pesato in maniera decisiva i pregiudizi verso l’insegnante ma forse anche un episodio: durante il processo, a Varese, tre ragazzini ascoltati a testimonianza hanno riferito che tutto iniziò nel mese di novembre del 2006 dopo un compito di applicazione tecnica andato male. Tuttavia, una piccola ripicca non basta per spiegare la vicenda. In realtà il terreno per il grande equivoco, diciamo così, pare fosse già fertile. Nei corridoi della scuola media da tempo, si vociferava che il professore, arrivato da poco, fosse stato allontanato da un altro istituto perché aveva toccato le ragazze. Una circostanza del tutto falsa, ma quanto bastava per affibbiargli un soprannome allusivo alla pedofilia, «Peddi»: «Lo chiamavano tutti così ma non so perché» dicono ad esempio alcuni bambini ascoltati durante l’incidente probatorio, che ha coinvolto diversi studenti, oramai ex alunni della scuola. «Non mi ha mai fatto niente – dice in particolare una ragazzina – ma le alunne di terza media mi avevano parlato dei prof in generale e mi avevano detto che lui toccava, che voleva entrare in bagno mentre le altre si cambiavano. Ma io non ho mai visto niente».
L’allarme tra gli studenti era tale che una delle parti offese, un ragazzino maschio, riferisce di aver evitato una palpata al sedere solo perché era in guardia da tempo: «Sì, ero attento a queste cose – afferma – perché se n’era già parlato ed era già successo ai miei compagni, ci ha provato ma non ci è riuscito».
Tra i ragazzi tutti sapevano che erano accaduti episodi spiacevoli ma nessuno aveva mai visto nulla. E anche quando qualcuno aveva visto ecco che ridimensionava le testimonianze: «La mia compagna ha esagerato» dice una teste parlando di un’amica che si era messa a urlare per un presunto sfioramento. Una bimba, invece, ritratta tra le lacrime un caso di palpamento alle natiche mentre chiedeva di andare in bagno. Gli avvocati Andrea Boni e Irene Visconti hanno sempre sostenuto che fosse una colossale montatura. La loro consulente di parte, la psicoteraputa Moira Liberatore, scrive nella memoria difensiva che il condizionamento del gruppo è stato decisivo: «Il pregiudizio nei suoi confronti e quindi l’allarme di molti studenti circa le possibili intenzioni del professore nei loro confronti – sostiene la perizia – può averli indotti a prestare particolare attenzione a ogni suo gesto e infine a fraintendere condotte prive di portata erotica, come uno sguardo, uno sfioramento, o un pizzicotto». Una vicenda definita, ma con una portata più generale: in età adolescenziale e in contesti scolastici non è improbabile che certe accuse «possano essere il frutto non di fatti reali, bensì di “fattoidi” generati da dicerie, pettegolezzi, fraintendimenti e dichiarazioni “a reticolo”».
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